È sempre felice il giorno di Natale? Sicuri davvero? Perché se c’è una festa davvero infelice, quando va tutto male e sono tutti felici, o danno l’impressione di esserlo, quella festa è proprio il giorno di Natale. Prendete il bambino di Nazareth, che nacque a Betlemme dove il padre si era portato per rispondere a un censimento che imponeva a chiunque, ma proprio a chiunque, di farsi registrare nella propria città di origine. Giuseppe era della casa di David e così dalla città di Nazareth in Galilea salì in Giudea a una città di David chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme alla sua sposa. La sposa era incinta ma fa niente. Il censimento era stato ordinato dall’imperatore Cesare Augusto in Roma e fu attuato in Palestina sotto il governatore della Siria Quirinio. Evidentemente Quirinio era un governatore rigoroso, che sapeva farsi rispettare, così Giuseppe, temendone ritorsioni, partì con la sua sposa incinta, altrimenti se ne sarebbe rimasto nella sua casa di Nazareth, se non al caldo perlomeno al coperto. Come la famiglia arrivò a Betlemme si compirono per la sposa i giorni del parto. L’albergo era pieno e naturalmente nessuno lasciò il suo posto alla donna – “Prima gli Italiani !!” – così Maria cercò rifugio in una stalla, dette alla luce un figlio e lo depose in una mangiatoia. I pastori che erano nella stalla con i loro armenti festeggiarono il bambino, ma lui nemmeno se ne accorse, impegnato com’era a resistere in vita. Nonostante fosse lì per un censimento nessuno si preoccupò di fargli avere lo “ius soli”, e benché fosse nato a Betlemme continuò a essere chiamato Gesù di Nazareth. Solo Francesco a Greccio lo chiamerà bambino di Bethlehem, e pronunciando la parola Bethlehem modulava la voce emettendo il belato di una pecora, passandosi la lingua sulle labbra come per voler gustare la dolcezza di quei nomi. Ma si sa Francesco era un matto, un ingenuo o forse soltanto un buonista. Già che piove continuò a piovere e siccome non ci facciamo mancare nulla uscì fuori un re di nome Erode che ordinò di uccidere tutti ma proprio tutti i bimbi del posto, temendo che qualcuno di loro volesse diventare re per non restare suddito. Un angelo avvisò per tempo Giuseppe. Qualcuno crede ancora agli angeli? Comunque Giuseppe fuggì lo stesso, prese con sé con moglie e figlio come farebbe chiunque ai rumori di guerre, siriano al primo suono di sirena o nero d’Africa al primo rullar di tamburi: un tamburo in Africa non vuol dire Calendimaggio. Fuggì in Egitto, chissà poi perché: non poteva tornare a casa sua?
Cosa c’entra tutto questo con Assisi? Ad Assisi ogni chiesa ha il suo Presepe, dipinto o di coccio che sia, ogni angolo di strada ha il suo e tutti i bimbi nei Presepi hanno il sorriso stampato in faccia, con Maria e Giuseppe che battono le mani per dare ritmo al canto dei pastori. Non c’è nessuno che pianga, nessuno che trattenga il respiro per non essere scoperto. Tutti lì a ridere gioiosi: è Nataleee !!!! Alleluiaaa !!! Così è dappertutto tranne a Rocca Sant’Angelo, dove si assiste a una storia rovesciata che va letta da destra a sinistra, o va letta dall’alto nel caso qualcuno ci capisca qualcosa. Nella chiesa dei frati a Rocca Sant’Angelo non c’è il Presepe e se c’era non c’è più. C’è però una fuga in Egitto al centro del catino absidale, tra la disputa di Gesù con i dottori nel tempio a sinistra e la presentazione di Gesù al Tempio sulla destra. Maria è vestita di azzurro e monta una cavalcatura all’amazzone, con le gambe da un solo lato. Il bimbo è fasciato con una candida benda e sta dritto accostando il proprio volto al volto della madre. Segue a piedi la cavalcatura il padre Giuseppe, a capo chino e senza bagagli, aiutandosi nel cammino con un bastone e pungolando l’animale con una verga. La fuga in Egitto compare due volte in San Francesco di Assisi: nel claristorio della chiesa superiore e nel transetto nord della chiesa inferiore. Lo stesso episodio fu dipinto in Santa Chiara alle pareti del transetto meridionale. La versione più antica, nel claristorio della chiesa superiore, è quasi del tutto distrutta, salvo un frammento con il san Giuseppe che segue a capo chino la cavalcatura. In ordine di tempo la seconda versione è quella nel transetto in Santa Chiara, nella quale un cavallo è tirato per le redini da un servitore che porta i bagagli e è seguito a distanza da san Giuseppe, anch’esso a piedi e con un bagaglio in spalla. Maria è vestita a festa e stringe tra le braccia un ragazzino che le getta festosamente le braccia al collo. La terza versione è dipinta sopra la tomba del santo nella chiesa inferiore di San Francesco. Giuseppe precede il cammino stando accosto all’asino di cui tiene le redini, mentre un servo spinge delicatamente l’animale appoggiando una mano contro le terga. Chiude il gruppo una donna anziana vestita di bianco, con un bagaglio in equilibrio sopra la testa. Maria indossa uno splendido abito azzurro e cavalca all’amazzone col bimbo avvolto in fasce tra le braccia. Due angeli in volo precedono il gruppo. Una palma s’inchina al loro passaggio. Delle tre versioni, la Fuga in Egitto alla Rocchicciola è la più desolante. Il paese vi appare devastato, senza alberi né villaggi o castelli. L’asino procede senza una meta, senza nessuno che lo guidi. Addirittura Giuseppe batte la cavalcatura con una verga per affrettarne il cammino. Nemmeno lui sa dove andare, perché non guarda la strada. La fuga è stata precipitosa e nessuno ha fatto in tempo a prendere bagagli, nessun servitore accompagna i fuggitivi. C’è solo angoscia nel bacio scambiato dal figlio con la madre, se poi la madre non ha nemmeno il coraggio di guardare il figlio negli occhi.
La storia umana è piena di uomini in fuga e in quel tempo tra i frati Minori erano in fuga Ubertino da Casale, Angelo Clareno e il ministro generale Michele da Cesena: di loro parlano gli affreschi di Rocca Sant’Angelo. Il Natale è anche questo, non sono solo canti di angeli e belati di pecore. Appena nato Cristo era già un profugo: quando apriremo gli occhi sui profughi del nostro tempo? Quando ci verrà rinfacciato ero straniero e non mi hai ospitato?