L’overtourism è l’eccesso di visitatori in rapporto agli abitanti di una città. Un fenomeno inedito, dovuto alla crescita esponenziale delle occasioni di turismo, innescata da una concomitanza di fattori macroeconomici: su tutti, l’abbattimento dei costi di spostamento, e l’emancipazione della classe media dei paesi del Sud del mondo. Tuttavia, come per qualsiasi sistema, la crescita “fuori misura” del singolo elemento all’interno di un’equazione complessa, comporta situazioni di criticità. Così, decadi di politiche incoscienti hanno velocizzato la materializzazione di un presente caratterizzato dallo sgretolamento del tessuto socioeconomico dei centri storici delle città più colpite dalla piaga del sovraffollamento turistico. Una realtà amara e solo parzialmente reversibile che però non esonera quei decisori capaci di intuizione dal compito di tamponare l’emorragia di vivibilità; abbondano esempi recenti nel mondo. Anche Assisi è afflitta da overtourism ma il fatto che si celebri con orgoglio il sorpasso abbondante del milione di presenze*del 2018 in un centro abitato da una migliaia di mohicani, lascia intuire la carenza di lungimiranza e di un serio dibattito pubblico sulla tematica. Un dibattito pubblico che riconosca le ricadute negative di un modello di sviluppo sadico che avvilisce le vite dei molti che di turismo non vivono. Che non si limiti a maledire il pellegrino che mangia il panino per strada e spende poco, per qualche negoziante più fastidioso dei piccioni. Che non significhi pretendere turismo di qualità, altrimenti detto “coi soldi”, in una logica che avalla lo stanziamento di budget faraonici per misure effimere al sapore di festival bourgeois-bohème.
È probabilmente tempo di discussioni alte. Di reclamare una città di qualità. Che sia la qualità della vita dei cittadini a muovere le leve dell’attore pubblico. Che si abbia il coraggio di immaginare manovre integrate per consentire il ripopolamento dei giovani, offrendo loro strumenti ed incentivi che favoriscano l’attività economica ed associativa. Che si rifletta partecipativamente ad una mobilità alternativa sistemica, vera.
Perché se il presente è sonnambulismo – ripetere la filastrocca della crescita delle presenze, con o senza Rolex che siano – il futuro sarà eterno riposo. L’intera Umbria è ferita a morte dalla crisi, in recessione più di ogni altra regione italiana. L’esodo dei più giovani, presupposto biologico per la continuità nel tempo di una città, è infrenabile a causa delle scarse possibilità d’impiego. E se la penicillina del turismo ha tenuto in piedi il gracile indotto economico di alcune città d’arte mentre il tessuto industriale del territorio limitrofo si sfaldava, oggi, quella stessa cura, è diventata dipendenza e malattia.*presenze turistiche: n. arrivi turistici moltiplicato per n. notti di permanenza (in media intorno a 2 ad Assisi). Ovvero, una statistica che non tiene conto di tutti coloro che passano senza lasciare traccia o che utilizzano strutture non registrate. La pressione turistica effettiva è difficilmente calcolabile e non c’è una stima di quanti, anche solo per una giornata, calchino annualmente i serafici sanpietrini.