Il Concilio di Trento non dissertò unicamente sulla suprema autorità del pontefice e sul numero dei sacramenti. La Chiesa, governate ormai le coscienze, sottopose a disciplina anche gli appetiti. Con decreto del 1563, la pratica dei digiuni e l’astinenza dalle carni furono ufficialmente parte della dottrina. Perseverare a stomaco vuoto sembrò dura prova solo per i benestanti, non avvezzi a patir la fame. Per i contadini, che ammazzavano il maiale, era più un problema dover comprare il pesce ogni venerdì e nei giorni precedenti le feste comandate.
I soliti vegliardi rammentano essere eterna vigilia anche la vita della povera Ingenuina, sposata con Battilardo delle Montarelle. Tutti i santi giorni saracche a più non posso. A pasto col pane, fuori pasto con le nocchie. Salate le prime e sonore le altre, finché la donna pensò bene di lasciare il tetto coniugale. Diede un taglio alla saracca appesa e a quella vita di acciacchi.
L’ardimentoso Carloccione, pentito scapolone, appena seppe mezza signorina l’ancor piacente Ingenuina, le propose di condividere una cena in tempo d’Avvento. Un po’ per pudore, molto per timore, la villanella lo fece sospirare fino alla sera del 24 dicembre, data quanto mai impegnativa. Dovevano astenersi dalla carne e altre saracche andavano evitate.
Il buon uomo sacrificò un capocollo, barattato al mercato con una stecca di baccalà. Sperando di rendere più dolce quel momento, oltre a dissalare il pesce in acqua di fonte, arricchì il soffritto di frutta secca: fichi, prugne e uvetta.
Accostamento sorprendente. Ingenuina mangiò di gusto e non sembrò mai sazia. Un solo istante trattenne il boccone. Temendo per le lische in gola, il premuroso spasimante chiese: “Reste?”. La donna rispose: “Si, stanotte resto”.
Vivo si fece il desiderio della carne, ma solo l’indomani sarebbe stato sciolto il precetto di astinenza. Carloccione, pur colto da sorpresa, non precipitò nel panico.
Suggerì di consumar l’attesa come si conviene senza far peccato. Mostrato alla donna il bel salame che avrebbe allietato il pranzo di Natale, le confidò che quest’anno il norcino aveva esagerato. Era decisamente salato, forse più del baccalà. Altro rimedio non v’era che metterlo a mollo già la sera prima.
Col tempo quel pesce divenne piatto della tradizione. Da allora, il salame può dirsi insaccato.
Baccalà semidolce:
Adagiare i filetti, ammollati e deliscati, su un soffritto di cipolla. Aggiungere zucchero, fichi secchi, uva passa, prugne. Innaffiare con vino bianco. A rosolatura avvenuta, addensate con un po’ di pomodoro.