L’attuale piazza Santa Chiara segna in età romana e medievale il limite tra città e campagna. Da qui si diramavano tre vie: una scendeva a Moiano, una saliva a San Rufino e una terza, in cui le prime due confluivano, proseguiva verso Spello.
L’arco duecentesco che delimita le mura della città di Francesco e Chiara, l’area ad esso antistante e persino il trivio sono citati nella documentazione antica con l’indicazione topografica Sancti Georgii, dal nome della chiesina extra moenia esistente dal secolo XI. Qui nei pressi sorse anche un ospedale, ricordato prima come hospitale S. Rufini in trivio S. Georgii e poi come hospitale S. Georgii, dove si dava ospitalità ai pellegrini.
Nella chiesa di San Giorgio nel 1253 furono tumulate le spoglie di santa Chiara, nello stesso sacello dove tra il 1226 e il 1230 aveva riposato il corpo di Francesco.
Il desiderio di dimorare presso la tomba della loro fondatrice indusse le clarisse ad avviare una trattativa per la permuta di San Damiano con la chiesa, l’ospedale di San Giorgio e il terreno circostante così da poter iniziare la costruzione di un santuario sul modello di quello francescano. Avvenuto lo scambio, l’ospedale fu demolito mentre la chiesina, ricca di memorie sante, fu in parte preservata all’interno del complesso clariano. Nella basilica, invece, al santo cavaliere fu dedicata una cappella, dove il faentino Pace di Bartolo affrescò attorno alla metà del Trecento uno straordinario San Giorgio che trafigge il drago e libera la principessa.
La necessità di difendere la costruenda chiesa indusse il Comune ad ampliare le mura per inglobarla al loro interno. Così attorno al 1260 si aprì a ridosso del convento la porta di Santa Chiara, il cosiddetto arco dei Pucci, e la portella di San Giorgio perse la sua funzione di raccordo tra città e contado.
Ma è ancora l’antica platea Sancti Georgii, affacciata sulla francescana valle spoletana, a offrire i tramonti più commoventi: la luce rosata bacia Assisi e quel che resta della campagna circostante tra il 4 e il 23 d’aprile, quando si rinnova il detto popolare: “Da Sant’Isidoro a San Giorgio, arda Pasquetta che tempo bello aspetta” e il santo cavaliere, sguainata la spada, uccide il drago dell’inverno, liberando la principessa, foriera di primaverile rinascita agreste.