I casi di neonati abbandonati per strada o addirittura nei cassonetti dell’immondizia, non frequenti, ma che tuttavia si verificano, hanno evidentemente fatto pensare al senatore leghista Simone Pillon che la possibilità di mantenere l’anonimato della maternità per poi affidare il proprio figlio alle cure delle strutture sanitarie, oggi garantita in Italia dalla legge, non è sufficiente ad evitare tragici gesti estremi che quasi sempre hanno come epilogo la morte del bambino. Così il senatore propone il ripristino delle “ruote degli
esposti”, certo si tratta di strumenti più adeguati ai nostri tempi dal punto di vista tecnico e igienico sanitario, che garantiscono a chi si trova nella disgraziata situazione di farlo, la possibilità di lasciare un neonato presso una struttura idonea senza essere visto e riconosciuto. Di fatto in alcune città italiane come Roma, Milano o Napoli, strutture simili già esistono anche se lo strumento legislativo non è stato perfezionato. Le chiamano “culle per la vita”, sono certo più sicure delle antiche “ruote”. Non è certo questo il luogo per parlare dei fattori sociali o morali che possono provocare tali drammatici comportamenti, ma evidentemente un elemento è comune nel tempo: il desiderio di anonimato assoluto, qualsiasi sia il motivo che spinge a tali azioni. Dunque ora le “culle per la vita”, nel passato le “ruote degli esposti” o “proietti” e le strutture che ne erano dotate assolvevano al compito di garantire l’anonimato a chi si trovava nella condizione di dover abbandonare un bambino, dando allo stesso una possibilità di sopravvivenza. Si trattava spesso di una ruota divisa in due parti, dall’esterno poteva essere depositato un neonato, girando la ruota lo si faceva entrare all’interno della struttura assistenziale; spesso vicino alla ruota c’era un campanello per avvertire il personale della struttura. Anche ad Assisi esisteva una “ruota” ne sopravvivono i resti in Vicolo degli Esposti, dell’uso e del fatto che in quel luogo vi fosse un orfanatrofio, annesso all’ospedale della Comunità, vi sono testimonianze documentarie e anche la denominazione della stretta via dove è situato uno degli ingressi dell’ospedale ne tramanda la memoria. L’Ospedale di Santa Maria della Misericordia, duecentesco ospedale pubblico, costruito nelle pertinenze in porta S. Francesco, con il placet iniziale dei frati Minori che permisero al Comune di costruire vicino alla chiesa di San Francesco un ospizio in onorem Dei et utilitatem pauperum, in onore di Dio e utile ai poveri, come si legge nei documenti più antichi, viene ricordato anche negli statuti della città del 1469. Nel luogo dove si vede ancora
la traccia della “ruota” ebbe sede il Brefotrofio. La documentazione relativa all’Ospedale è conservata presso la Sezione di Archivio di Stato di Assisi abbraccia un tempo piuttosto lungo, dal 1444 al 1805 anno della soppressione. Tra i documenti conservati vi sono i registri del “movimento degli esposti” delle spese di “baliatico”, vale a dire delle spese per dare a balia, per nutrire al seno i piccolissimi ospiti dell’istituto. Leggendo oltre l’aridità della sequenza di cifre scritte in quei registri antichi o guardando ciò che resta della “ruota”, non si può fare a meno di pensare a quanti piccoli abbandonati per vergogna, per bisogno, per ignoranza, ci sono dietro quei numeri. Davvero strano, però, è che ai nostri giorni, con i mezzi di cui disponiamo in questa nostra “civilissima” società, ci si trovi ancora a dover pensare ad una moderna versione della “ruota degli esposti” per cercare di evitare casi di abbandono di neonati o peggio di infanticidio.