Può apparire strano ma il vento di contestazione che cinquant’anni fa dal maggio parigino investì l’intera Europa arrivò a soffiare anche ad Assisi. E la nostra città, normalmente così refrattaria alle innovazioni, osservò sia pure con distacco ed un po’ di diffidenza quel movimento di giovani che voleva cambiare il mondo.
Accadde nel dicembre del 1968. La Cittadella di Assisi, Pro Civitate Christiana, organizzò nella sede di via Ancajani il 23°convegno universitario al quale parteciparono circa quasi duemila giovani provenienti da ogni parte d’Italia. Arrivarono in massa per far sentire la voce della componente progressista del mondo cattolico impegnata a rivendicare la radicalità della propria visione del mondo. La stagione sociale e politica che l’Italia e l’intera Europa stava vivendo era del resto molto travagliata, attraversata da forti diseguaglianze economiche e dal fiorire di lotte sindacali nelle fabbriche che avrebbero portato poco tempo dopo all’approvazione dello Statuto dei lavoratori.
C’era da parte di quei giovani cattolici l’urgenza di non essere assimilati al conformismo imperante dei governi democristiani che si succedevano ininterrottamente da ormai venti anni. Per questo arrivarono ad Assisi. Per ribadire che loro non si sentivano parte di quel sistema di potere al quale anzi volevano con tutte le loro forze ribellarsi. Il tema scelto per quel Convegno del resto non lasciava spazio alle interpretazioni: la violenza dei cristiani. Una parola d’ordine che manifestava la volontà di operare una scelta di campo netta in favore del cambiamento e di una radicalità del messaggio evangelico. La Cittadella Cristiana era certamente il luogo più giusto per testimoniare anche fisicamente quella adesione profonda ai valori che animarono la contestazione del 1968. La Comunità della Cittadella di Assisi incarnava infatti lo spirito del Concilio Vaticano II e la spinta che caratterizzò quell’esperienza orientata verso i poveri ed il popolo di Dio piuttosto che chiusa negli equilibri di potere della Chiesa ufficiale. Una scelta che procurò loro più di un attrito con la gerarchia ecclesiastica la quale cercò spesso di esercitare nei loro confronti un controllo più stretto.
In mezzo a questo esercito di sessantottini che arrivarono ad Assisi per il convegno universitario c’era un giovane emiliano con i capelli lunghi, molto alto ed un po’ allampanato. Si chiamava Francesco Guccini. Non si era mai esibito ancora in pubblico nonostante avesse già inciso canzoni di un qualche successo. Era talmente emozionato che appena prima di esibirsi gli si ruppe una corda della sua chitarra. Non c’era tempo di ripararla ed andò lo stesso sul palco suonando con cinque corde.
Cantò :”Auschwitz”, “Noi non ci saremo”. E cantò: “Dio è morto”. “ Nei campi di sterminio Dio è morto, nelle auto prese a rate Dio è morto”.
Guccini soffiò in quelle canzoni la rabbia e le passioni di una nuova stagione che bussava ormai alle porte. Piacque talmente tanto che un irriverente volontario della Pro Civitate mandò in onda su Radio vaticana per parecchi giorni la canzone Dio è morto, censurata invece rigidamente dalla Rai.
Aveva così fatto proprio una degli slogan più famosi del 68:” proibito proibire”.