15 Maggio 2019

I Campanari di Assisi

Pier Maurizio Della Porta
I Campanari di Assisi

Che emozione salire sul campanile di San Rufino la prima volta: le scale erano sporchissime di guano di piccione e la salita era dura, non c’erano certo tutte le dotazioni di sicurezza che trovano ora i tanti visitatori del campanile. Si saliva attraverso queste scale sdrucciolevoli la cui sicurezza era rappresentata da una malferma ringhiera di legno, approntata, chi sa quando, da qualche campanaro prudente. Ogni rampa era una “ascesa mistica” fino a che non si giungeva alla cella campanaria un assaggio di Paradiso. Il panorama meraviglioso sulla valle e sulla città con la rocca che sembrava a portata di mano, e il castello antico delle campane ligneo massiccio. Eravamo  quattro o cinque e ci dissero, i campanari esperti, ora vi facciamo vedere come si suona: due di loro salirono sul castello e invitarono due di noi a salire e a disporci a coppia in corrispondenza delle staffe del campanone. Tenendosi saldamente alle corde legate al castello cominciarono a “pedalare”, il campanone cominciò a muoversi, in basso, un campanaro imbracava il batacchio della campana maggiore perché non appesantisse il movimento che serviva a sollevare il campanone a bicchiere per essere trattenuto e rilasciato quando la melodia del rinterzo lo chiedeva, colui che aveva avuto il ruolo di rallentare e contemporaneamente coadiuvare l’alzata della campana grande entrò in una baracchetta di legno dove arrivavano le cinque corde delle altre campane, cominciò il concerto, meraviglioso! I suoni sapientemente comandati si diffondevano per la città e verso la vallata, capii il senso della scritta che si poteva leggere sul campanone : Laudo Deum verum, Voco gentem, congrego clerum, defuntos ploro, nimbum fugo, festaque honoro.   Avevo la macchina fotografica e seduto su uno dei finestroni del campanile sentivo muoversi la struttura che deve essere elastica per sopportare il movimento delle campane; avrei dovuto riprendere quelle azioni antiche e meravigliose che creavano il concerto di campane, ma l’emozione fu tale che non feci nemmeno una foto. Salimmo tante altre volte le scale del campanile, soprattutto in corrispondenza delle più importanti feste calendari ali in cui la Cattedrale attraverso la voce delle campane aveva il ruolo di : laudare, vocare, honorare, come scritto sulla campana. I più vecchi del gruppo, più vecchi di mestiere intendo, Marcello e il padre, Martellino, Paolo Zunna, avevano il ruolo di istruire il nostro gruppo di giovani volenterosi. Ci insegnavano come a loro era stato insegnato da  altri vecchi campanari: il padre di Martellino lo stesso babbo di Marcello e forse fra Luigi, frate francescano  sensibile alle armonie dei concerti di campane, ma anche al buon bere e al buon mangiare, lo chiamavano anche fra Magnino. A me fu offerta la possibilità di imparare  il rinterzo. L’insegnamento prima di passare alla pratica nella cabina dove arrivavano le corde delle campane, veniva impartito con una sorta di imitazione ritmica di quello che doveva poi essere la melodia del concerto, del tipo: il pa-ne-‘nti-‘nto-‘l vin-è-tan-to-bon! Dove bon era il rintocco del campanone lasciato e poi ripreso con forza e maestria. I più sapienti tra noi avevano tentato la scrittura su pentagramma dei rintocchi, ma nulla sembrava avere la potenza semantica e didattica di quelle pseudo filastrocche. Eravamo diventati un discreto gruppetto di campanari che si divertivano tanto con le campane e anche per il cibo squisito che talvolta gli abitanti del quartiere di Piazza Nova ci inviavano, contenti di udire il loro capanile “cantare”. Poi le esigenze di una modernità che vuole certezze di prestazioni e nessun rischio nel metterle in atto, hanno fatto si che il campanile venisse “elettrificato”,  nel 1986, è sempre un bel concerto di campane, ma non produce più quei suoni tramandati da campanaro a campanaro, sicuramente più armoniosi e forse più vicini a come immaginava la “voce” del campanile chi lo aveva provvisto di campane (anche se appartenenti a tempi diversi dal 1287 al 1800). Sarò sempre grato a chi mi ha permesso di toccare quelle corde o ai compagni con i quali ho condiviso questa avventura della quale,naturalmente, rimangono tanti ricordi,  anche se quelli che affiorano più spesso sono legati alle filastrocche didattiche: il pa-ne-‘nti-‘nto-‘l vin-è-tan-to-bon!

Pier Maurizio Della Porta

Funzionario Archivista di Stato presso l'Archivio di Stato di Perugia, anche dopo il recente pensionamento continua ad amare occuparsi della gestione e dello studio di documenti che riguardano la storia di Assisi e del territorio.

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