Dopo il grande successo della mostra “Rainbow Portraits” e i progetti “Tierra y Libertad” e “Occhi che hanno visto troppo”, Andrea Cova ha presentato la sua nuova mostra fotografica “Dal Gineceo di Gayuk – 35 polaroid in bianco e nero” che si è tenuta dal 16 al 18 marzo presso il Palazzo del Capitano del Perdono di Santa Maria degli Angeli, all’interno della programmazione di Tra_me Giallo Fest Assisi.
Le 35 polaroid scattate da Cova sono ispirate alla raccolta di versi “Poemi del Gineceo” di Guido Ceronetti, pubblicata per la prima volta nel 1998 da Adelphi ma allora attribuita a uno sconosciuto poeta turco chiamato Mehmet Gayuk – finzione letteraria perfettamente riuscita, dietro la quale si celava Guido Ceronetti. Ripubblicata, sempre da Adelphi nel 2012 con la firma del vero autore, trova oggi una “terza” vita in questa mostra.
In una bulimia di immagini digitali, la fotografia istantanea e analogica è la scelta stilistica che coerentemente riesce a raccontare le apparizioni, le sensazioni che le parole evocano. Per il fotografo assisano la scelta della polaroid è stata inizialmente casuale (aveva in casa un pacco di pellicole polaroid in bianco e nero e da lì è nato tutto) ma probabilmente si tratta di un’apparente casualità – come accade spesso all’inizio di un processo creativo – data dall’esigenza di restituire l’immediatezza delle immagini che i testi offrivano. Le polaroid sono astratte, concrete, evanescenti come le situazioni del gineceo.
Andrea Cova ha scoperto questo testo per caso in una delle sue tante visite alla Libreria Zubboli di Assisi. Conosceva Ceronetti dalla sua traduzione de “Il Cantico dei Cantici” e di “Qohélet” e dal suo testo “Un viaggio in Italia” del 1983, ma questi “Poemi” sono stati ispiratori perché, come scrive Gayuk-Ceronetti, “il Gineceo si apre “se lo evochi, con l’umiltà dei suoni”. Il Gineceo si apre evocato dalle immagini.
L’allestimento della mostra è una sorta di labirinto. Il visitatore ha infatti la sensazione di addentrarsi nel gineceo, esattamente come gli uomini narrati nelle poesie che cercano con desiderio le donne lì recluse. Il Gineceo di Ceronetti non si vede, le donne sono nascoste dal muro che non fa altro che alimentare la bramosia dell’uomo. Un gineceo muto, in un’orda di uomini vocianti.
Leggendo le poesie si possono anche percepire suoni e odori che però difficilmente la fotografia riesce a trasmettere ma anche questi fanno parte dell’allestimento. Ovviamente la”collaborazione” del visitatore è necessaria, per cui la “sospensione volontaria della credulità” è parte integrante della mostra, altrimenti nulla sarebbe reale. È fondamentale che camminando nella sala si immagini di essere nei corridoi del gineceo.
Questa partecipazione attiva, questo continuo scambio e necessità rimandano molto al teatro. Tra teatro e fotografia c’è, prima di tutto, un legame “tecnico” determinato dalla luce, elemento essenziale tanto sulla scena quanto nella fotografia. Entrambi raccontano delle storie e sia l’attività dell’attore che quella del fotografo si muovono sulle direttrici del gioco e della caccia.
La mostra e l’opera dalla quale è tratta, sono un sublime omaggio crudelmente attuale fatto alla donna. La morbosità con cui si guarda ancora al corpo femminile accomuna le donne del “gineceo” a quelle di oggi. Come dice Andrea Cova “Piace molto dire che siamo nel terzo millennio ma, purtroppo, con le parole, i gesti e i pensieri siamo ancora molto arretrati. Cerchiamo sempre corpi femminili, ovunque. La strada da fare è ancora lunga, dobbiamo evitare di chiudere in un gineceo, come quello raccontato, qualsiasi donna.”