Vedi alla voce: turista
La diffusione in Italia della voce turista, coi suoi derivati turismo e turistico, si consuma tra l’Unità e la Grande Guerra ed è un bell’esempio di parole che si impongono assieme alla nuova attività che esprimono, come accadde ad esempio più o meno contemporaneamente con sport. È un adattamento dell’inglese tourist (e del francese touriste), entrambi originati dal francese tour e quindi dal verbo tourner, che significa ‘girare, far girare’. A sua volta tourner deriva dal latino tornare, letteralmente ‘tornire, lavorare al tornio’, da cui ‘girare, per poi ritornare sullo stesso posto’. Vale però la pena di citare, per la loro bellezza, anche l’etimo di due parole consorelle che rinviano all’idea dello spostamento fuori dai consueti confini (reali o mentali): la prima è forestiero, derivato nell’ordine dal francese antico forestier, dal latino medievale forestarius e dall’avverbio latino foris ‘fuori’; la seconda è pellegrino, modesta evoluzione del latino peregrinus che deriva da peregre, composto da per ‘al di là’ e ager ‘campo’.
di Carla Gambacorta
La parola ha conosciuto miglior fortuna. Ora che almeno in Europa è più facile imbattersi nell’araba fenice che in un turista, intere categorie professionali e (più o meno) vaste aree territoriali prosperate con la monocoltura turistica si ritrovano piombate quantomeno nello sconcerto. Un po’ come Cuba quando smisero di comprargli la canna da zucchero. Che poi, per dirla tutta, chi sa cosa sia esattamente un turista alzi la mano. Cosa lo distingue da un viaggiatore, da un pellegrino, da un vacanziere? E ancora: esisterebbe il turismo senza la famigerata classe media? L’inventore del turismo organizzato, Thomas Cook, che nel 1841 fondò la prima agenzia di viaggi all’origine di un impero dissoltosi giusto lo scorso anno, giurerebbe di no, e gli assisani sarebbero d’accordo con lui. Adusi da secoli al poco remunerativo flusso di pellegrini, disattenti alle deviazioni dal Grand Tour che lambirono la città, gli assisani drizzarono le orecchie e sgranarono gli occhi solo con i grandi numeri dell’Anno Santo del 1925. Archiviata la pausa bellica, il dopoguerra riversò ad Assisi frotte crescenti di visitatori. Forestieri, venivano chiamati, e la parola si adattava a tutti: pellegrini (sempre quelli), turisti (sempre più) e viaggiatori (sempre meno). Una parola bella, antica ed elegante, con l’ulteriore merito di marcare unicamente le origini estranee dell’interlocutore e la provvisorietà del suo passaggio. Null’altro. Non abbastanza trendy, il forestiero ha fatto presto la stessa fine del postale, dei fulminanti e del rosolio: è stato messo in pensione. Del pellegrino non si può dire che ci si vergogni (e comunque pecunia non olet), ma lo si vorrebbe più discreto, seminvisibile, a meno che sia di tendenza, dunque a piedi, colto e benestante. Il viaggiatore poi è una creatura mitologica, chi ha visto l’ultimo? Domina la scena il turista: blandito, sedotto, spremuto, agognato, oggetto di tavole rotonde, meetings, analisi di mercato, fiere, profilazioni, fa paura solo quando scrive recensioni velenose. Ed ora, inopinatamente, è scomparso. Sarebbe bello che tornasse come forestiero: un bel regresso dall’industria all’artigianato.
di Francesco Lampone
L’ascolto musicale
a cura di Dionisio Capuano
The Tourist – Radiohead [OK Computer, 1997]
È Jonny Greenwood, il chitarrista, a scrivere questa ballata che parte un po’ cianotica ed esplode nel finale, liberatorio a caro prezzo. Dentro c’è il turista del terzo millennio, che attraversa il mondo inchiodato sulla mappa dello smartphone.