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Superfluo discende direttamente dal latino superfluus, derivato dal verbo superfluĕre dove il prefisso super-, applicato a fluĕre che significa ‘scorrere, fluire sopra’, e quindi anche ‘traboccare, straripare’, dà vita a una parola che indica qualcosa che è in eccesso, che sovrabbonda, che diviene inutile e non necessario, anche in senso figurato. Scrive Foscolo: «Non ci crediam noi più miseri allorché non possiamo ottenere una cosa superflua – e allorché la perdiamo – che il povero quando gli manca il pane che pur gli è indispensabile?».
di Carla Gambacorta
Viene istintivo ritenere il linguaggio un mero mezzo di comunicazione, neutro e diafano, eppure alle spalle della semplice definizione di superfluo subito si impone l’ombra del giudizio e si erge, potente, lo stigma. Più arduo è tracciare la linea di demarcazione tra ciò che è conveniente e appropriato, e ciò che non lo. Già nel XIII secolo l’intransigenza pauperistica di Francesco calzava stretta ai suoi stessi confratelli, e la disputa sulla povertà apostolica vide affrontarsi, a colpi di chierica, spirituali e conventuali, mutando la perfetta letizia in una imperfetta diatriba destinata a trascinarsi per secoli. Come si sa la spuntarono i capitalisti ante litteram e, a pochi decenni della morte del Santo, fu eretta in tutta la sua magnificenza la splendida basilica, simbolo di una cristianità tutt’altro che frugale di cui il santo, forse, non sarebbe stato particolarmente entusiasta. L’allarme nei confronti dell’opulenza, della sovrabbondanza di consumi, del degrado naturale, della logica disumanizzante del profitto è di lungo corso, ma finora i più strozzavano il magone tra un aperitivo, un daiquiri e una sventagliata di insulti all’indirizzo di Greta Thunberg. Oggi, gli stessi farebbero volentieri ammenda mentre ascoltano col capo coperto di cenere le rampogne di chi, fino a ieri, bollavano di catastrofismo. Il misticismo è dietro l’angolo e in molti propongono temperanza e rinuncia come espiazione. Siamo dunque all’alba di una nuova umanità equa, parca e solidale? Il dubbio è iperbolico: duecento anni e passa anni di capitalismo variamente selvaggio potrebbero avere avuto su di noi lo stesso effetto che ebbe Attila sul terreno che pestava. C’è chi ancora ci spera, e chi invece scommette che, passata la paura, torneremo, chi più e chi meno, a inquinare e desertificare festosamente il pianeta. I più prudenti tacciono in attesa della fase 2.
di Valeria Molini
L’ascolto musicale
a cura di Dionisio Capuano
Superfluous – Eddie Harris [Instant Death, 1972]
Poco più di tre minuti dove tutto è necessario, essenziale. Non c’è tempo da perdere.La vita brucia e la musica grida: qui! ora!