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La parola anziano ci arriva dal latino parlato anteanus, formato da ante (che significa ‘prima’) e dal comunissimo suffisso -anus (tipico per i nomi di abitanti, come nel caso di assisano). Anteanus evolve quindi verso la versione antianus, dove nel passaggio all’italiano il nesso –tj– si trasforma in un suono sconosciuto al latino, la z: ed eccoci arrivati ad anziano. Nulla di straordinario, lo stesso è accaduto ad esempio in ozio, derivato da otium, o in spazio, derivato da spatium. E’ bello ricordare, in un’epoca in cui il giovanilismo la fa da padrone, che la prima attestazione di questa voce in italiano col significato di ‘persona di età avanzata’ è nel Filocolo di Boccaccio, in cui si legge: “ché ancora che io sia anziano, son io a gravissime fatiche possente più che tali giovani”.
di Carla Gambacorta
Anziano, lo sappiamo, è un modo garbato di dire vecchio, termine che il linguaggio colloquiale predilige, forse inconsapevolmente, per la sua coloritura discriminante o perfino dispregiativa. Anziano, al contrario denota dignità, riecheggia sapienze antiche, eloquenza, accrescimento spirituale. Attenzione però a celebrare la condizione senile nelle epoche passate, in contrapposizione alla ferita narcisistica che il decadimento fisico infligge all’eterno presente in cui ci illudiamo di vivere. Sofocle temeva la senescenza come la peggiore tra le sciagure, Saffo frignava per la perduta bellezza, Seneca, nelle lettere a Lucilio, accarezzava propositi suicidi: lo accontenterà il giovane Nerone, forse per eccesso di zelo. Eppure, al presente, lo sgargiante e frivolo deficit di empatia, la garrula soddisfazione di non appartenere a questa inerme “categoria a rischio”, l’indifferenza sfacciata e volgare con cui i più registrano l’ecatombe della nostra comune memoria, fa paura. D’altro canto, l’odierna cultura dello scarto ha davvero qualcosa da offrire? Ci ripagherà di questa progressiva erosione di umanità? Colmerà il vuoto di una perdita di identità così vertiginosa? Morte, malattia, vecchiaia sono, ahinoi, categorie ineludibili, pena lo smarrimento del senso stesso della vita. Per gli assisani in vena di riacquisire solidità e certezze, però, sarà sufficiente fare un giro a Piazzanova in estate e stuzzicare gli assolati detentori del potere temporale e spirituale del quartiere, azzardando uno sfottò sulla loro vetustà. Se è un giorno di buona ti risponderanno: “io ce so’ arrivato, te, n’el so”..
di Valeria Molini
L’ascolto musicale
a cura di Dionisio Capuano
For the Elders – Fred Wesley [New Friends, 1990]
Al trombonista, classe ’43, devono in molti. Ad esempio, James Brown, Maceo Parker, George Clinton. Questo brano, saldo nella tradizione, si lancia verso il futuro. Nel jazz, si sa, il passato è la torre alta da cui scorgere meglio l’orizzonte.