Il breve video di inchiesta realizzato da Lavialibera e presentato con successo lo scorso 18 giugno, che incoraggiamo ogni lettore di questo articolo a raggiungere tramite questo collegamento, mette lodevolmente (a suo modo) il dito sulla piaga della monocoltura turistica assisana.
Assisi Mia, che da anni sforna regolarmente interventi su questo tema tra la distratta simpatia della maggioranza dei lettori e l’indifferenza dei decisori, se ne rallegra quant’altri mai. È bello trovarsi in buona compagnia, tanto meglio se il soggetto è cruciale. Ancor più si rallegra dell’indovinata scelta comunicativa, che vede rimbalzare il video in questione da un cellulare assisano all’altro, complici gli acceleratori social. Ma, come si usa dire, non c’è rosa senza spine, ogni medaglia ha il suo rovescio e non tutte le ciambelle riescono con un buco degno della O di Giotto.
Che una città sia in vendita (per lucro e non per necessità, sia chiaro) e finanche la sua anima sembri ormai esserlo, è un fatto dei più tristi che possa accadere a una collettività. Che i compratori (a prezzi di mercato, beninteso) non scatenino sentimenti di generale entusiasmo è possibile e di certo cosa lamentabile. Ma è qui il cuore del problema? L’attuale versione del presente non era inevitabile. E sarebbe ancora rimediabile se questa nostra collettività fosse capace di uno scatto di orgoglio. Così non pare, se un video con un titolo e un tema imbarazzanti non sembra in realtà disturbare granché l’ampio nocciolo duro di assisani convintamente deciso a vivere di rendita e rischiare poco o nulla, lamentandosi placidamente del presente in nome di un passato fantasmatico e tenendo a distanza di sicurezza ogni cambiamento (si veda il recente, centrato editoriale del Direttore Carlo Cianetti sulle elezioni comunali). Piuttosto, vale la pena di segnalare come l’approccio intenzionalmente mirato e connotato del video di Lavialibera paia incontrare un generale e perfino sollevato (“era ora!”) consenso. Che possa dipendere dall’illusoria comodità di rifilare a qualche capro espiatorio, rigorosamente non autoctono, l’ingombro della bancarotta identitaria in corso? Mentre pensate alla risposta Assisi resta in vendita, e non a prezzi di saldo.