Un viandante che varchi la porta di Santa Maria sopra il castello di Rocca Sant’Angelo – è facile, la chiesa è sempre aperta – sarà accolto da un banchetto coloratissimo che straborda di oggetti fatti a mano dalle suore che gli hanno consentito di entrare. Sono monili, collanine, ciotole, scatoline. Ricordano le “cose buone di pessimo gusto” che cantava Gozzano nel primo Novecento e che vendono d’estate i vucomprà – ci sono ancora? cacciati via tutti? – sulle spiagge dello stivale. Prendete qualcosa, non fate gli spilorci, prendete a pagate, non fate i furbi. Le suore del convento di Rocca Sant’Angelo di questo vivono, oggetti banali fatti con le loro mani. Semplici e coloratissimi fili rossi, gialli, verdi, ogni nodo intrecciato a una preghiera, ogni nodo un’Ave Maria. Prendete qualcosa e fate un’offerta, non sono i fili che pagate ma le preghiere. Cacciate fuori i soldi anche per i tanti che prendono due, tre o anche quattro e pagano uno, o anche mezzo o niente con la scusa che non hanno con loro carta moneta ma soltanto la carta magnetica per il POS. Si prova piacere nel rubare ai poveri? È la stessa scusa che ci fa sentire furbi nel comprare al supermercato la pasta e i pelati sotto costo, rubando il pane ai poveri Cristi che s’inchinano a terra. Il sotto costo sposta l’ortaggio ancora più là e la terra già di suo è bassa, ma non per voi e neanche per me.
La differenza è che queste suore non sono povere a caso ma per scelta, non per bisogno ma per amore. Sono povere per Cristo. Sono povere come era povero Francesco quando già malato sussurrò a frate Leone “e io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. E quelli che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa dal lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta”.
Si parla tanto di “Economy of Francesco”: è questa qui. Sono le suore che hanno scelto di vivere a Rocca Sant’Angelo come i frati che costruirono questo luogo sette secoli fa. Del luogo di Santa Maria della Rocchicciola si parla in una Riformanza del Comune di Assisi del 29 agosto 1309, quando nel corso della seduta fu discussa la proposta se concedere una regalia di 30 libre cortonesi in favore dei frati dei luoghi di Santa Maria della Rocchicciola, di San Damiano e dell’Isola. Questi frati erano talmente poveri che per provvedere alle loro necessità erano soliti questuare ogni anno grano e biade nel circondario, recando disturbo a loro stessi e agli altri. La proposta fu approvata e i contadini non ebbero più la noia di sentirsi chiedere un pane o le uova dal frate che questuava per il convento. Le suore di Rocca Sant’Angelo nemmeno questo vi chiedono. Espongono preghiere intrecciate a fili colorati, chi ha orecchi per intendere presti attenzione, forse non lo sa ma pure questo è amore.
È fatto di tante linee rosse, gialle, verdi, blù, come i nastrini intrecciati dalle suore, il grande dipinto che compare a sinistra dell’ingresso e fa angolo con la parete di facciata. È un grande rettangolo chiuso da una fascia rossa bianca verde ornata a stampini e ancora bianca, con dentro una loggia di cinque arcate, oltre le quali c’è una parete rivestita di mattonelle azzurre montate a mosaico o anche di una stoffa tessuta al telaio. Al centro della stanza, sopra una predella sollevata da terra c’è un trono di legno verde e rosso che termina con una sorta di cupola rossa e gialla che sormonta la cornice. Sul trono è seduta una donna dallo sguardo altero, la veste rossa, il manto verde e azzurro, gli occhi castani, i capelli biondi. Ha un fiore di tre petali in mano e poggia l’altra sulla spalla di un ragazzino che è tutto nudo e si copre a malapena con un manto rosso e arancio sfrangiato, con una lunga cintura di pelle nera e fiori bianchi e una fibbia d’oro. Ai lati del trono ci sono quattro personaggi ritti in piedi, due maschi e due femmine, ciascuno identificato da un nome scritto sotto: S. Iacopus, S.ca Catarina, S.ca M. Madalena, San niente ma è Antonio Abate con tanto di campanella e Tau sul manto. Due erano invocati dai pellegrini diretti in capo al mondo: Giacomo e Antonio ciascuno armato di un bastone per ritmare i passi e un grosso libro in mano per cantare i canti. Caterina d’Alessandria era invocata da dottori e professori, Maria Maddalena era un modello di carità cristiana per le donne di casa. Sono semplicemente bellissime come ci si attendeva da loro. La stanza è sorretta da mensoline che portano una scritta col nome del donatore che pagò il dipinto, forse per rimediare un pellegrinaggio promesso e mai fatto alla tomba di San Giacomo in Galizia: “Hoc opus fecit fieri Angielus Iovannes Magistri Angieli sub A. D. M. C.C.C.C.X”. Ben tre scudi con aquile nere come corvi interrompono la scritta. Doveva essere un pezzo grosso questo Angelo di Giovanni di mastro Angelo. Dottore professore truffatore imbroglione: se volete ve la canto pure. Speriamo almeno che non si sia limitato a pagare il prezzo del pittore, che sia stato generoso anche con i frati di quel tempo. Forse non lo sai ma pure questo è amore.