Il film su san Francesco è ancora un progetto lontano che non so se realizzerò o meno [… ] Ma poi non si tratta proprio di san Francesco, si tratta di un santo completamente inventato che somiglia vagamente al santo di Assisi – ma è inutile nemmeno farlo questo nome, se mai lo si potrà fare dopo che ho finito il film, perché in realtà questo santo inventerà Il cantico delle creature – però con un linguaggio ancora più rozzo che san Francesco – diventerà eretico e verrà addirittura ucciso dai soldati del Papa, come è successo in infiniti casi nel Medioevo […] Ma questo, ripeto, è un progetto talmente lontano che è inutile parlarne.
(da un’intervista a Filmcritica, 1962)
Prima e dopo il Vangelo, Pasolini progetta due film legati alla sua mitologia cristiana – uno su san Paolo e uno su san Francesco. Due modi di riflettere sulla fede dell’infanzia, su quella della madre, letta da un uomo che non può più credere, e da un marxista. Miti/coinemi (come Franco Fornari chiama l’immagine-segno di un vissuto psichico e affettivo) del sofferto rapporto con la propria omosessualità, e della desacralizzazione della realtà nel tempo delle merci. Francesco appartiene, come Paolo, alla “folle e sublime aristocraticità della religione: molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. Non è “un’anima bella”, come il protagonista del Francesco della Cavani, un contestatore ante litteram della borghesia all’interno della borghesia (questo scrive Pasolini, recensendo il film). Francesco è un autentico santo medievale, che conserva in sé i tratti di sublime e di ferocia della sua cultura. Di questo Pasolini è sicuro già prima di andare ad Assisi ospite della Cittadella. L’idea di un film su Francesco risale ai primi degli anni Sessanta.
Bestemmia è un racconto in versi ambientato in un medioevo ideale dell’Italia centrale, immagino durante il periodo delle invasioni normanne, a Salerno e in Puglia, che racconta la storia di un tipo profondamente simile ad Accattone, un magnaccia che vive in mezzo alle prostitute alla periferia di quella cosa incredibile che doveva essere Roma in quegli anni. E come Accattone ha una vena mistica che, dati i tempi, ha delle soluzioni. E la soluzione prima è una visione. Questa specie di Accattone dell’anno 1100 immagina la Passione, una Passione popolare con le Marie che seguono Cristo, ecc. Da quel momento, da magnaccia, turpe individuo qual è, diventa santo. Ma al tempo stesso diventa anche rivoluzionario. Cioè fonda un ordine di tipo eretico che io inventerò, ma su basi storiche abbastanza precise. E di qui la lotta contro il papato del tempo. Bestemmia viene ucciso dopo aver ripredicato il Vangelo secondo la riscoperta, che sarà poi francescana, dei sacri testi. Questo racconto era nato con l’idea di essere un film, ma non mi andava di scriverlo così, normalmente, e l’ho scritto in versi, anzi lo sto scrivendo.
(intervista alla televisione svizzera, 1964)
Incrociandosi con la figura di Accattone, il Francesco di Pasolini si fa prototipo (mistico) della santità delle borgate, dei barbari sottoproletari della periferia romana provenienti dai margini dell’impero – la stessa santità di Emilia in Teorema (come Emilia, Bestemmia è un guaritore – di bambini). Ma Bestemmia è anche uno stupratore e un assassino, privo della morale borghese che ne farebbe un’“anima bella”. Eppure è santo, della santità “orientale” del medioevo, e nella ferocia non perde la grazia degli ultimi, che non conoscono altra vita se non quella dell’immondizia fisica e morale, e proprio per questo si salvano dalla vera e definitiva dannazione e degradazione – quella dell’uomo medio. L’ironia borghese desacralizza la Realtà. Non esistono miracoli nel mondo del razionalismo del profitto. Bestemmia/Francesco sa che la salvezza è nella risacralizzazione del mondo – rivolta antiborghese nell’essere. Perciò quello che ha cantato il santo di Assisi, deve essere ancora cantato – la Realtà è sacra, per chi crede e per chi non crede, perché è la sola possibilità che abbiamo di essere umani (persino nel delitto). Nella scena in cui Bestemmia seppellisce Nicolino, un ragazzino annegato, Pasolini rievoca il Cantico delle creature, ma senza la gioiosa resa dialettale che userà in Uccellacci e uccellini. L’adattamento è solo linguistico, perché Bestemmia (dice Pasolini) usa un volgare più rozzo di Francesco. La sacra percezione della realtà, però, è sempre la stessa (“Solo chi è mitico è realistico, e solo chi è realistico è mitico” dice il Centauro a Giasone, in Medea). Chi sa perché Assisi ha dimenticato il realismo mitico del suo santo orientale.
Il tumulo è fatto, la terra è ancora fresca
e nuda, ma già si prepara a invecchiare e a vestirsi,
invecchiare come un’umile tomba senza ricordi,
vestirsi d’erba e viole, come un’umile zolla d’estate.
Ma non bisogna lasciare ancora solo Nicolino
nel bosco dove la notte avrà fine solo con un giorno
che prepara in tanto silenzio il suo ritorno…
“Altissimu, onnipotente, bon Signore,
so’ tua le lauda, la gloria l’onore e ogni benedizione!”
(Fuori da ogni carità, da ogni pietà,
da ogni parola, in un cespuglio tra altri cespugli,
si sveglia chissà da quale sonno, da quale pace,
un usignolo, e qualcuno canta in lui il suo amore).
(Ma Bestemmia è nella radura, fuori dai cespugli
su una tomba nata dalla carità, vestita dalla pietà,
e non c’è nessuno che canti per lui: egli
non può muoversi di lì, dalla veglia che vuole le parole
che diano al destino l’ordine della religione.)
“Ad te solo, altissimu, se konfano,
e nessun omo è degnu de mentovatte”
[…]
Cosa manca allo sguardo del contadino Bestemmia,
che se ne sta lì nel buio della notte,
a far la veglia al suo amico Nicolino,
in compagnia di un antico usignolo?
“Laudato sie, mi’ Signore, co’ tutte le tu’ creature,
speciarmente fratemo lu sole,
lo quale è giorno, e c’allumini co’ llui,
e lui è bellu, e radiante, co’ grande splendore:
porta er segno tuo.”
Poi si accorge, il contadino che non sa dire
le cose, come un bambino, se non nominandole,
che c’è la luna, sul bosco nel cielo.