Quando di un insieme di costruzioni si può dire che è una città, un paese? Quando è abitato. Suona banale dirlo, ma è così. E questo basta? Naturalmente, no. Se abitare non significa semplicemente occupare degli edifici nei quali si dorme, si mangia, si svolge una quotidianità invisibile agli occhi stessi di chi la vive, una città, un paese non sono solo un insieme abitato di edifici. È l’interazione sociale che fa di un insieme di costruzioni abitate una città, un paese – il vicinato, il commercio, le istituzioni pubbliche (scuole, ospedali, caserme, uffici comunali, biblioteche, musei), i luoghi della libertà (teatri, cinema, parchi, monumenti, associazioni), quelli del culto, il cimitero. Qui si svolge l’interazione sociale basica. Eppure ne esiste una più profonda, che fa di un luogo abitato una vera e propria comunità. Un’interazione sociale che vive nella rete dei luoghi invisibili. Scambi, conoscenze interagite, volontà e progetti condivisi formano questi luoghi, che inglobano quelli visibili, integrandoli e superandoli. In ogni città o paese che possa dirsi comunità, esiste una realtà clandestina, non formalizzabile nell’evidenza. Fondamentale, perché produttrice di vita, e non di sopravvivenza. Averne coscienza significa vivere politicamente (cioè eticamente ed esteticamente). Non averne coscienza significa sopravvivere in una socialità ottusa per mancata percezione (del bello e dell’etico). Ad Assisi ci sono luoghi che potrebbero creare quella rete (e alcuni l’hanno fatto, in passato), ma non lo fanno. Sono presenze che sembrano casuali, quasi estranee alla città – o perché dimenticate (non dai singoli, ma dalla pluralità), o perché mai integrate. L’Istituto Serafico, la Pro Civitate Christiana (la Cittadella), la Biblioteca comunale ospite del Convento di San Francesco, la Rocca, il Pincio, lo stesso Convitto Nazionale che pure incombe nella parte alta di Assisi come solo il Convento di San Francesco fa in quella inferiore – tutti questi luoghi potrebbero dare vita a quella realtà clandestina che renderebbe Assisi una comunità più consapevole, ma non lo fanno. Eppure, basterebbe farle entrare attivamente nella vita della città, o farcele ritornare. Permettere loro, insomma, di produrre quei luoghi invisibili che Assisi non ha, o non ha più. Chi vive questa cittadina come abitante o come amministratore dovrebbe averne più cura (e non solo materiale), ed entrare in una comunicazione fattiva con ognuno di essi in quanto produttore di idee, esperienze, bellezza, socialità. Un significante senza significato è un segno inutile e inutilizzabile. Un significato senza un significante è, comunicativamente, un nulla. Una città senza i suoi luoghi invisibili è un significante senza significato. I luoghi invisibili senza la loro comunità sono condannati a diventare un preziosissimo nulla chiuso in se stesso. Da qui, da questo luogo invisibile che da molto tempo ha creato una sua rete, si proverà a raccontare l’Assisi clandestina che ci manca.