In tempo di pandemia termini inglesi come lockdown o smart working sono subdolamente entrati a far parte del nostro lessico quotidiano, tanto da indurre la patriottica Crusca a esortare all’uso di parole tricolori dal medesimo significato. Ma neanche la secolare accademia è riuscita a penetrare il senso profondo dell’italianissimo “lavoro agile”, espressione di lapalissiana declinazione nel vissuto assisano del secolo scorso.
Lavoro agile per antonomasia era il ricamo a punto Assisi, o francescano per dirla con Fortini. Tale attività, esclusivamente femminile, necessita della tela di puro lino a trama regolare con 11 fili per centimetro. Su questa viene tracciato un disegno a punto scritto con filo nero, mentre con filo colorato, di solito azzurro o ruggine, si riempie il fondo per far risaltare il motivo figurato sul tessuto, contornato con orlino e punto quadro. Pochi gli strumenti del mestiere: tela, ago spuntato per il ricamo, ago appuntito per le bordure, fili di almeno tre colori rigorosamente di marca DMC, forbici e ditale, tutti raccolti in una sacca per costudirli e portarli sempre con sé.
Fino agli anni Settanta le donne assisane hanno sostenuto l’economia familiare lavorando ovunque: in attesa dal medico, al Pincio durante i giochi dei bambini, sotto casa nel far quattro chiacchiere con le vicine. Nei vicoli si tesseva e ricamava una tela oltre la tela, infilando pettegolezzi, ricamando supposizioni e tirando conclusioni.
Di agile non rimaneva che la leggerezza degli arnesi d’uso. Ore trascorse a consumar la vista, contando le trame e tracciando a memoria, venivano compensate con poche lire dai rivenditori di souvenir. Eppure per molte di quelle donne gli unici momenti “leggeri” della giornata erano proprio quelli trascorsi con l’inseparabile “lavoro agile”.
Brevi note etimologiche a cura di Carla Gambacorta
Tela proviene dal latino telam, connesso col verbo texere ‘tessere’ di origine indoeuropea (da una radice taks– ‘comporre’), attraverso texla. Una curiosità: la voce francese toilette, diminutivo di toile (da telam), all’inizio era la ‘piccola tela’ che si trovava sul tavolino da acconciatura, ed è poi passata a indicare il mobiletto stesso (da un originario table de toilette), con ripiano e specchio, che serve per truccarsi e per pettinarsi. Questa voce è penetrata in italiano con vari adattamenti (toelette, toeletta, toletta, ecc.) durante il XVIII secolo e, malgrado la condanna dei puristi e del fascismo, ha avuto una notevole fortuna diffondendosi anche nei dialetti.
Suggerimento musicale a cura di Massimiliano Dragoni
Per la tela, così come in un affresco, la musica racconta le emozioni e rende visibile l’invisibile.
Ascolto: La prise de Calais – Guillaume Costeley