Difficile da contestare: la comunità degli assisani brilla drammaticamente per disunione. Ci si chiede allora: ma chi, gli assisani del capoluogo o quelli del Comune? E già la domanda contiene in sé una risposta. Che non spiega però abbastanza, perché le cose stanno peggio di così. Da un lato, gli assisani di città sono davvero tradizionalmente litigiosi fra di loro, al punto di fabbricarsi una festa – Il Calendimaggio – che lo ritualizza. Dall’altro, le frazioni di Assisi si avvertono vicendevolmente come nuclei a sé stanti, persino vagamente ostili. Fra queste disgrazie, ce n’era solo una facilmente evitabile, come dimostra il positivo esempio di ogni altra città paragonabile ad Assisi per taglia e posizione: la radicale cesura tra il capoluogo e le sue frazioni. Non proprio tutte, è vero, ma Viole e la montagna bastano solo a confermare la regola.
Chiunque può baloccarsi con un po’ di sociologia da bar per esplorarne le ragioni, ma a uno sguardo onesto e disincantato apparirà chiaro che questa divisione si consuma e si consolida solo nel secondo dopoguerra, quando lo sviluppo economico tende a prima gonfiare le frazioni di pianura, poi a svuotare le piccole città collinari. Come si poteva evitare? Facile: permettendo di costruire a ridosso delle mura, come è stato fatto ovunque altrove. Ma allora bisogna concludere che la giustamente celebrata fortuna di Assisi, il piano regolatore che ha salvato il cono panoramico dalla inerziale e antiestetica espansione del capoluogo, ha fabbricato anche il suo sarcofago di vetro, condannando la città ad uno sterile e altezzoso isolamento.
Si poteva tenere tutto assieme, capra e cavoli, botte piena e moglie ubriaca? Alzi la mano chi ha in mente una realtà paragonabile che ci sia riuscita. Ma è vero anche non si è neppure provato.
Road to Nowhere – Talking Heads