Lo zero è indubbiamente la cifra del presente. È curioso che un numero nato per esprimere una quantità nulla si trovi ad interpretare il ruolo di un vero e proprio programma politico. Consumo di suolo. Quanto? Zero. Plastica, quanta? Zero. Emissioni in atmosfera? Che domanda! Zero.
Dire zero è oggi biblicamente assertivo quanto le tavole della Legge. Una sola tavola basta, in ossequio al contenimento del consumo di pietra, con su un bel cerchio, adamantino simbolo dell’insieme delle quantità nulle.
È più curioso ancora che gli apostoli più intransigenti di questa nuova fede siano, di regola, ascrivibili ai ranghi di coloro che già hanno avuto tutto. Questo è tristemente evidente a scala geopolitica e raggiunge toni di assoluto ridicolo nella dimensione particolare dove occorre fare i conti con la complessità del reale cui gran parte dei “devoti dello zero” si sottrae o, al più, prospetta un più morbido zero sostenibile, vestito di resilienza e digitale. Insomma, ci si dice,” tranquilli, non ci saranno prezzi da pagare, abbiamo la tecnologia”.
Invece non sarà così. Il “tempo dello zero” andava preparato e così non è stato. La Grande Transizione è già in moto e il prezzo ci sarà, alto e soprattutto, senza assunzione di responsabilità politica, ripartito in forma drammaticamente sperequata tra territori, popoli e individui.
Anche il nostro territorio si troverà presto di fronte a scelte da fare e risorse da impiegare. La differenza la faranno la capacità di ciascuno di noi a modificare parte delle nostre “irrinunciabili” abitudini e quella di noi come comunità nel sostenere investimenti che non siano piegati sull’oggi ma che traguardino veramente il futuro. Istruzione e cultura, per essere chiari.
Valga come incoraggiamento: l’altra faccia dello zero si chiama infinito.
Jzero – Cat Stevens