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Cambiamento deriva da cambiare, una eredità del latino tardo (II secolo d.C.) che entra in italiano attraverso la Gallia – dove forse all’inizio significava essenzialmente ‘barattare’ –. Nel francese antico (e contemporaneo) diventerà changer, da cui l’italianoantico cangiare. Dietro a tutti, sta il greco κάμπτειν (kamptein), che significava ‘curvare, piegare, girare intorno’. Tra i molti derivati, in italiano si avrà cambio e da questo lettera cambiale che diverrà poi (per ellissi) solo cambiale, designando quel titolo di credito con obbligo di pagamento cui nel dopoguerra fecero ricorso milioni di italiani, che, pur di (ri)tuffarsi nella vita – e nel nascente consumismo –, con mirabile entusiasmo e senza timore di indebitarsi ne firmarono a pacchi. Tornerà di moda?
di Carla Gambacorta
Quel che è invece certo è che il cambiamento è uno dei mantra delle tante riflessioni che rimbalzano da un angolo all’altro del pianeta in questa stagione di lock down. La fine della pandemia – ci ricordano filosofi ed economisti – dovrà coincidere con un grande cambiamento dell’umanità. Non un proseguire ma piuttosto un ricominciare. Un cambiamento vero insomma e non soltanto di facciata. Basta con la natura violentata e piegata ai supremi interessi del profitto. Basta con una sanità pubblica depotenziata in nome di un falso efficientismo che coincide con gli interessi di pochi. Fare spazio ad una nuova gerarchia delle professioni che valorizzi finalmente quelle più dimenticate e sottopagate che ci stanno portando fuori dal tunnel. E cercare finalmente di cambiare noi stessi disponendoci maggiormente all’ascolto dell’altro. Chissà se sarà davvero così. I segnali che affiorano in questi giorni dalle forzate clausure casalinghe sono diversi e contraddittori. Perché accanto all’Italia che canta fiera dai propri balconi c’è quella delatrice, incattivita e spaventata, che indica alle autorità il potenziale untore che viola il blocco. Assisi dal canto suo, refrattaria per indole e vocazione ad ogni idea di cambiamento, sembra pronta ad addomesticare il futuro convinta che somiglierà parecchio al passato. Crede che tutto sia ciclico e sotto sotto immutabile, come quella primavera dall’eterno ritorno sulla quale fonda la sua festa più vera. E sa anche che lo stemma del Principe di Salina potrebbe benissimo adornare uno dei sui Palazzi più belli con quel suo inossidabile motto:” bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga come prima”.
di Paolo Mirti
L’ascolto musicale
a cura di Dionisio Capuano
Sam Cooke – A change is gonna come [1963]
Canzone eterna da un soffio di vento. È passata di bocca in bocca, Aretha, Al Green, Otis Redding, Billy Bragg, Arcade Fire per la campagna di Obama. Qui è in purezza tra le labbra del suo autore.