01 Gennaio 2025

L’Umbria, Assisi e la sfida della pace: dai simboli alle azioni concrete per il futuro

Alessio Lanfaloni
L’Umbria, Assisi e la sfida della pace: dai simboli alle azioni concrete per il futuro

Ogni anno, il Papa lancia al mondo il suo messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace, celebrata il 1° gennaio. Questanno, accanto alla denuncia del debito come strumento di oppressione e controllo, emerge con forza lappello a disarmare non solo gli arsenali e le economie degli Stati, ma anche i cuori e le menti. Uno spunto che invita a riflettere sulla situazione in Europa e in Umbria.

Dietro il concetto di difesa e sicurezza si cela spesso una realtà meno nobile: un riarmo incessante e una retorica bellica che giustificano il conflitto come unica soluzione. Lo vediamo nelle politiche europee, nei fondi miliardari destinati alle industrie della difesa, e persino nel nostro quotidiano, dove l’intreccio tra sentimento popolare e potere militare rischia di radicare una pericolosa cultura della guerra. Invece, Papa Francesco ci richiama con forza a una visione diversa, definendo le guerre “un crimine contro l’umanità”. Le sue parole sono un invito a smascherare le false narrazioni che giustificano il militarismo dilagante e a promuovere una cultura di pace autentica.

L’Umbria, con Assisi in primo piano, si trova di fronte a una sfida cruciale: dimostrare che la sicurezza non si costruisce con le armi. Occorre decostruire le narrazioni che strumentalizzano il concetto di “difesa”, trasformandolo in un alibi per alimentare la violenza, come è successo più volte nella storia e come sta succedendo ora.

Durante la Prima guerra mondiale, molti intellettuali, spinti da un senso patriottico, sostennero la causa bellica. Fra loro, il frate francescano Agostino Gemelli, che nel suo libro La filosofia del cannone scriveva: “La guerra è una grande scuola di energia, di sacrificio, di abnegazione. Essa tempra gli animi, purifica i costumi, nobilita i sentimenti”. Parole che idealizzavano il conflitto come un’opportunità di crescita morale e spirituale.

Un’eco moderna di questa retorica emerge nelle dichiarazioni di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, che nel 2022, riferendosi alla guerra in Ucraina, affermò: “Non appena le truppe russe hanno varcato il confine con l’Ucraina, la nostra risposta è stata unanime, decisa e immediata. Dovremmo andarne fieri. Abbiamo fatto riemergere la forza interiore dell’Europa.” Parole che ricordano i discorsi di George W. Bush sulle guerre in Medio Oriente, in cui il conflitto veniva presentato come un dovere universale, un’inevitabile lotta tra civiltà e barbarie.

È comprensibile il bisogno di difendere valori e futuro, ma è necessario interrogarsi su come contrastare le scelte politiche ed economiche che alimentano una cultura della guerra, in cui il conflitto armato appare come l’unica soluzione possibile. Le scelte militariste degli stati membri dell’Unione Europea sono emblematiche e si basano sulla cultura della guerra.

La Polonia, ad esempio, punta a costruire l’esercito più potente d’Europa, raddoppiando le proprie forze armate tramite campagne di reclutamento e progetti estivi con le forze armate, offrendo incentivi economici ai cittadini. Anche la Finlandia, un tempo modello di progresso sociale, sta adottando una politica di riarmo, aumentando la produzione di munizioni e sviluppando un modello di “difesa totale” che coinvolge l’intera popolazione. La Svezia, storicamente neutrale, è entrata nella NATO e ha condotto nel Mar Baltico la più grande esercitazione militare dai tempi della Guerra Fredda, nonostante l’allargamento della NATO abbia già ridotto gli accessi diretti della Russia al Baltico.

Eppure, queste strategie, incentrate sulla forza militare, non riescono a contenere le azioni antagoniste russe. Mentre l’Europa si riarma, la Russia continua a finanziare i conflitti in cui è coinvolta grazie al commercio di combustibili fossili, aggirando le sanzioni con una “flotta ombra” nel Baltico. Addirittura, secondo alcuni analisti, la Russia sta conducendo operazioni di spionaggio sui parchi eolici nel Mare del Nord, con l’obiettivo di minare la capacità di produzione energetica europea in caso di conflitto. Sorge il dubbio se le scelte militariste messe in campo siano la strategia migliore per la sicurezza in Europa.

Mentre l’Europa si sta armando, in Italia, il messaggio pacifista di Papa Francesco trova un certo riscontro: un sondaggio Ipsos rivela che il 63% degli italiani è contrario all’invio di armi all’Ucraina. Tuttavia, questa visione si scontra con le scelte economiche del governo, che sostiene le politiche industriali militariste e l’invio di armamenti. Anche l’Umbria, con il suo Aerospace Cluster, rappresenta un esempio emblematico dello scollamento tra lo spirito pacifista delle persone e le decisioni economiche della classe imprenditoriale umbra. L’Aerospace Cluster è un’associazione che organizza, rappresenta e promuove le aziende umbre attive nel settore della difesa. Questo comparto rappresenta una fetta crescente dell’economia regionale, ma le informazioni sul suo operato scarseggiano e rimane non dettagliata la natura dei prodotti venduti, oltre che il dettaglio dei mercati serviti. Questa poca chiarezza genera dubbi legittimi, alimentati da casi come quello dell’azienda sarda RWM, coinvolta nella vendita di armi usate in conflitti devastanti. Per evitare scandali simili e affermare con coerenza i propri principi, l’Umbria dovrebbe istituire un osservatorio dedicato a garantire il rispetto dei suoi valori fondanti: non violenza, tutela dei diritti umani e promozione della pace. Solo così sarà possibile garantire che lo sviluppo economico non si traduca in barbarie.

L’Umbria, con Assisi quale simbolo universale di pace, è chiamata a giocare un ruolo attivo in questa riflessione. In un contesto in cui la guerra viene normalizzata e il riarmo sembra una risposta inevitabile, è urgente un impegno collettivo per orientare le scelte economiche alle aspirazioni di giustizia e cooperazione che animano la comunità umbra. L’Umbria ha di fronte la sfida di dimostrare che sviluppo e pace non sono mai obiettivi contrapposti, ma sono elementi che si rafforzano reciprocamente. Per vincere questa sfida è necessario creare un gruppo di lavoro motivato e organizzato, capace di partire dall’osservazione del territorio per proporre soluzioni concrete e incisive nel complesso scenario delle dinamiche globali.

 

Alessio Lanfaloni

Sono un rigobellese verace, anche se per lavoro vivo a Milano (salvo pandemie) dove mi occupo di banche e mercati finanziari. Anche se la testa è in Nord Italia, il cuore è rimasto nelle terre di San Francesco e Pietro di Bernardone.

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