Don Cesare non c’è più. È strano vederlo racchiuso in quella piccola bara di legno, lui sempre pieno di vita, energico, in movimento. È stato un parroco fuori dal comune. La sua origine bergamasca aveva dato alla sua personalità una concretezza e una capacità di progettare e realizzare a cui noi umbri in verità siamo poco avvezzi. Questo lo ha fatto nella parrocchia, riorganizzandola e facendola funzionare bene, lo ha fatto nell’ambito culturale, sistemando il museo della cattedrale, dandogli nuova vita, aprendo al pubblico il campanile della cattedrale, trovando i finanziamenti per restaurare alcune opere d’arte molto importanti, ha valorizzato l’archivio secolare di San Rufino, e potremmo aggiungere tante altre iniziative portate a termine. Ha realizzato l’unico campo di calcetto nel centro storico di Assisi a disposizione di tutti i ragazzi, ora purtroppo chiuso per necessità di manutenzione, dove tanti nostri figli hanno giocato, passato pomeriggi e sono cresciuti. E poi corsi estivi, viaggi della parrocchia aperti a tutti, il suo rapporto con il Calendimaggio e molto altro, che molti in queste giornate stanno ricordando. Soprattutto aveva costruito una rete umana di stima, comprensione, affetto, aiuto con tutti, assisani del centro storico e delle frazioni, e con chiunque gli si rivolgeva, dovuta alla sua empatia, capacità di ascoltare, di capire e suggerire senza prevaricare, con rispetto e intelligenza. Per quanto possibile, ti stava sempre vicino nel momento del bisogno, chiamava sempre le cose con il loro nome, non aveva paura del confronto, per questo godeva di incondizionato e trasversale apprezzamento. Non si spiega altrimenti l’omaggio di centinaia di persone, giovani, anziani, che hanno voluto fargli andandolo a salutare un’ultima volta nella cappella del Santissimo Sacramento in San Rufino prima del suo funerale, tutti con nel cuore un ricordo, una parola, un gesto. Un Sacerdote e una persona perbene.