A fine settembre 2022, Assisi ha accolto 2000 giovani economisti, attivisti e imprenditori invitati da Papa Francesco a stringere un patto per cambiare l’economia.
Papa Francesco ha chiamato ad Assisi i giovani di tutto il mondo per riparare la nostra casa comune attraverso un’economia[1] amica della terra e della pace. Dopo tre anni ed una pandemia di mezzo, l’Economia di Francesco è una rete di migliaia di giovani da 100 Paesi, protagonisti di storie di cambiamento di un pensiero e di una prassi economica che ha dimostrato a più riprese la sua incapacità di prendersi cura delle persone e dell’ambiente. Questo articolo, e i prossimi che seguiranno, hanno l’obiettivo di far conoscere alcune di queste storie, i cui protagonisti sono i giovani che hanno stretto il patto proposto da Papa Francesco e lo stanno attuando attraverso le scelte radicali personali e la propria professione lavorativa.
Il “Patto per l’Economia”, firmato ad Assisi tra i giovani presenti e il Papa, ha come primo impegno “un’economia di pace e non di guerra, un’economia che contrasta la proliferazione delle armi, specie le più distruttive, un’economia che si prende cura del creato e non lo depreda”. Un impegno che richiede di rivedere le scelte economiche guerrafondaie che gli Stati o le imprese hanno deciso nel tempo. Perché la pace è un processo che inizia con le scelte dei singoli e delle collettività in cui sono organizzati. Troppo comodo, e quasi sempre velleitario, appellarsi ai leader civili e religiosi nel momento in cui una controversia segue la strada del conflitto armato. Invece, The Economy of Francesco ha dedicato un tavolo tematico chiamato “Business and Peace” per lo studio delle radici economiche della guerra, da cui sono emerse buone pratiche da approfondire e valorizzare, magari anche nei frequenti convegni sulla pace che animano la nostra città. Tra le tante storie, tutte di grande valore, racconteremo quelle di Ricardo e Stefano che in questi due anni hanno partecipato ai lavori del tavolo tematico su economia e pace.
Ricardo è nato a El Salvador, piccolo Paese del centro-america che ha dato i natali a personalità come Rutilio Grande e Oscar Romero, due sacerdoti che sono stati assassinati per la loro incessante attività a favore dei poveri e di contrasto alle ingiustizie perpetrate dalla dittatura salvadoregna. La radicalità dei due sacerdoti ha ispirato l’attività professionale di Ricardo e, dopo una formazione nelle migliori business school nord-americane, ha iniziato a lavorare nel settore dell’energia rinnovabile. Uno dei primi progetti a cui ha lavorato è stato un impianto di pannelli fotovoltaici nei campi profughi di Lesbo ed ora lavora a progetti di Comunità Energetiche in Germania. Lui crede fermamente che l’investimento in energie rinnovabili e la creazione di Comunità Energetiche favorisce l’accesso all’energia da parte dei poveri e, di conseguenza, si possono ridurre le tensioni sociali esacerbate dall’assenza dei servizi di base, come la conservazione del cibo o dei medicinali; invece, nei Paesi ricchi, le Comunità Energetiche riducono la sete energia e la necessità vitale di accaparrarsi i combustibili fossili. Di fronte al suo punto di vista, è automatico interrogarsi sulle nostre scelte energetiche nazionali e sulla scarsità di comunità energetiche pubbliche nel nostro territorio umbro. Se non mettiamo in discussione il modo di produrre energia, a livello nazionale e a livello locale, possiamo davvero dichiarare di volere la pace?
L’altra storia ha come protagonista Stefano: giovane italiano e orgogliosamente sardo. La sua regione è tra le più belle del mondo ma il suo territorio è stato bistrattato da scelte industriali irrispettose dell’ambiente e delle persone. Una delle produzioni più scandalose e discusse di recente è la produzione di bombe utilizzate dall’Arabia Saudita nel conflitto in Yemen. Questo fatto non ha lasciato indifferente una rete di persone, tra cui Stefano, che hanno chiesto all’industria sarda di tornare a produrre prodotti per il mercato civile. Infatti, non è sufficiente interrompere la vendita di armi ai Paesi in guerra, è necessario riconvertire la produzione delle aziende di armi ed evitare che i lavoratori restino senza salario. Per supportare questi processi di riconversione, Stefano e i suoi amici hanno deciso di creare un marchio registrato a livello internazionale, chiamato “WarFree – Libero dalla guerra”, intorno al quale associare imprese e professionisti estranei alla filiera bellica e rispettosi dell’ambiente ambiente e delle persone. L’associazione ha anche un ruolo di supporto per le imprese più fragili, al fine di creare un sottobosco di attività economiche guidate dai valori contemplati dallo statuto del marchio “WarFree”. L’obiettivo è far fallire l’economia di guerra e inquinante perché le risorse, materiali ed umane, saranno tutte impegnate nei settori sostenibili.
Le storie Economy of Francesco, come Ricardo e Stefano, ci ricordano di considerare sempre le radici economiche della guerra e di fare scelte di pace coerenti, anche se piccole come un granello di sabbia capace di guastare l’ingranaggio della guerra. Questa è una delle sfide di The Economy of Francesco: non rimanere indifferenti ai conflitti lontani, capire quali leve si è nella condizione di poter premere realisticamente e quindi agire di conseguenza. Per una città come Assisi, così votata alla coltivazione della pace e alla cura dell’ambiente, sarebbe interessante rilanciare il tema delle Comunità Energetiche come progetto di Pace e chiedere alle aziende locali di associarsi al marchio “WarFree”, per essere sicuri che nella terra di San Francesco non si alimenti un’economia di morte.
[1] La parola “economia” deriva dal greco oikos (la casa) e nomos (la legge) e in principio indicava giudizioso governo della casa per il bene comune.