La pandemia ha esasperato le criticità del sistema Assisi. Precedenti contributi usciti su queste pagine hanno proposto valide analisi a riguardo e pareri autorevoli hanno arricchito il dibattito. Proficuo sarebbe a questo punto estendere la riflessione al cervello collettivo comunità, così da integrare spunti ed esigenze di ogni rappresentanza.
Anche in virtù dell’interesse sollevato da alcuni pezzi: questa fase di indeterminatezza, di stagnazione forzata, sembrerebbe aver regalato la consapevolezza di un cambiamento necessario e, non meno preziosa, la voglia di affrontarlo.
Il momento si direbbe propizio; molte nostre abitudini e alcuni nostri comportamenti sono stati decostruiti negli ultimi mesi. Siamo nella fase di fabbricazione di una nuova normalità: un’occasione d’oro per mettere in discussione assiomi e credenze, certi automatismi tossici che hanno lentamente privato la città di un’anima e della possibilità di prosperare congiuntamente ai suoi abitanti, per forza di cose divenuti apatici e pro-passivi, destinati per contrappasso ad un’unica corale lamentela: “Volemo più turisti. Coi soldi però. Niente vecchie terrone polpacciute dall’andatura rilassata che mangiano i panini e chiedono lo sconto per i Tao!”
Prima che tutto cristallizzi nello stantio di qualche mese fa, alcuni spunti di riflessioni per aree tematiche.
Abbiamo scopi in comune, come cittadinanza, che spesso dimentichiamo: vivere in salute, contenti e con entusiasmo a casa nostra. Non essere costretti ad emigrare, avere un lavoro, poter vivere più facilmente nel centro storico. Pretendere che ciò sia possibile è interesse di tutti. Della continuità biologica nel tempo della polis.
Andiamo oltre il personale e comportiamoci da comunità. È l’ultima forma di resistenza disponibile.
Mobilità:
Perché continuare a subordinare l’organizzazione degli spazi, le esigenze ancestrali dell’essere umano, a quelle delle inquinanti scatolette metalliche? Parcheggio, bollo, assicurazione, benzina. Due, tre, quattro per famiglia. Quante delle quaranta ore settimanali di lavoro per mantenerle? Passeggiate inquinanti tra gli stupendi scorci medievali, fregiate nell’estetica da professionisti del particolato, che ammazzano – fuori dai riflettori – più di ogni altro virus.
Ma da Aprile ad Ottobre, c’è sempre bisogno di spostarsi in macchina?
Pedalare – anche assistiti – fa bene alla salute e al sistema sanitario, all’umore, al portafogli, all’ambiente, agli adorati turisti, a chi vende deodoranti, agli aperitivi e alle cene al tramonto sui tavoli distanziati in strada dei ristoratori, evita tempo perso in ingorghi, giova ai bambini accompagnati, come fossero ebeti, fino a pochi centimetri dal portone della scuola.
Pretendiamo che ci sia assicurato il diritto di farlo su tutto il territorio: da Tordandrea a Viole a Torchiagina .
Per vocazione dovremmo fare della “vera sostenibilità” il posizionamento strategico di Assisi.
Non è facile? Sala, l’antipatico sindaco di Milano, ricorda una cosa giusta: i problemi esistono, ma siamo qui per risolverli.
E poi diciamocelo: i nostri spazi incentivano in maniera folle l’utilizzo dell’auto. Basti pensare a chi a Londra o Parigi per lavoro, abituato a fare ore di rimbalzi tra trasporti pubblici e bicicletta, tornato ad Oriente, accetta inconsciamente di andare in auto a bersi un caffè a 200mt da casa. Ridisegniamo gli incentivi alla mobilità, tout-court. Aree verdi, piste pedonali e ciclabili.
Consumo critico e produttori del territorio:
È possibile immaginare un rinascimento economico intra-muros? È cosa folle pensare ad incentivi per il sostegno del circuito economico dei bisogni primari della città? Perché accettare d’imbrutirsi, fare file alla cassa col carrello tra colori, disposizioni di prodotto studiate e melodie di sottofondo che manipolano le scelte d’acquisto, senza neanche contraccambiare lo sguardo del commesso a tempo determinato, allenato a sorridere, in un orribile prefabbricato? A quale scopo? Liberare tempo per altro consumo?
E poi, quanto si risparmia in un anno di offerte al supermercato GDO che lucra sui diritti dei lavoratori e sullo sfruttamento? Cento? Duecento euro all’anno? E se si decidesse di colmare questo risparmio con buoni spesa, una card-circuito, una moneta digitale complementare calibrata su un paniere, per le famiglie di residenti che collezionano tot euro di acquisti in città?. Aiutare la piccola bottega alimentare purché si impegni a garantire una maggiore qualità e presenza di prodotti del territorio. Penso al successo dell’esperienza Umbrò (di Arci Perugia) sulle scalette di Sant’Ercolano, ormai un riferimento per la freschezza e la genuinità del chilometro zero. Si tratta di un cambio di paradigma: una visione “slow” – per dirla alla milanese – che prediliga il “meglio” al “tanto”, con benefici per corpo, anima e mente. Si tratta di riappropriarsi del tempo e gestirlo in maniera meno frenetica premiando un’idea di vita “alta”.
Per vocazione, per geografia, Assisi è in pace col creato. Adoperiamoci affinché possano esserlo anche i suoi abitanti.
Rendita:
L’accumulazione da rendita è il cancro della civiltà. È sinonimo di staticità, non produce valore, e sposta ricchezze dalle tasche di chi suda verso quelle già abbondanti di chi, nella maggior parte dei casi (Piketty ce lo ricorda), eredita patrimoni per generazioni. Decisi ormai ad accettare questa ingiustizia primordiale, ci si unisca e si pretenda perlomeno che l’abuso sia umanamente sostenibile: che i commercianti non siano vittime di strozzinaggio e che non sia un ostacolo insuperabile a nuove iniziative imprenditoriali.
Tanto vale per la questione abitativa. Su cui si stende un velo pietoso per il momento e si rinvia al prossimo articolo.
Limitare la rendita, non solo è giustizia sociale. Ma presupposto essenziale per lo sviluppo economico: l’accumulazione è il passato. Ma incide sul futuro, di tutti.
Il cambiamento ha una componente di proattività necessaria, non piove mai dal cielo. Un primo passo è senza dubbio attivare processi, creare le giuste infrastrutture e gli incentivi adeguati. E se si teorizza dal basso, avviene anche in maniera inclusiva e democratica. C’è bisogno di una visione collettiva, che si crea col tempo ed una cittadinanza attiva. Intanto, che inizi un confronto digitale.