11 Maggio 2020

Calendimaggio: tutti sono utili, i vecchi indispensabili

Delfo Berretti
Calendimaggio: tutti sono utili, i vecchi indispensabili

Chiunque abbia frequentato le sedi delle parti, almeno una volta avrà sentito dire nel corso di una discussione: “nel calendimaggio tutti sono utili e nessuno è indispensabile”; è quasi un mantra che sembra affisso sulle porte di ingresso a ricordare che il Calendimaggio è di chi lo fa e che sempre kesto se facerà indipendentemente dalla presenza di chi si sente insostituibile.
Tuttavia, mentre nella vita ciò potrebbe (e comunque il condizionale è d’obbligo) essere anche vero, per la festa tale dogma deve invece essere messo in discussione. Almeno in parte.
È sicuramente vero che tutti sono utili, ma non è per niente scontato che nessuno è indispensabile.
Se da un lato, infatti, appare corretto che la festa debba trascendere dagli sdruccioli protagonismi del singolo, non possiamo non riconoscere che alcune categorie di persone siano per essa indispensabili.
Già è stato detto che il calendimaggio non è (solo) una manifestazione ma è una festa la cui più importante peculiarità è il suo profondo significato socio-antropologico; non a caso quando si discuteva sulla modifica della composizione della giuria, qualche illuminato aveva proposto la figura dell’antropologo, sicuramente più specializzato nel capire (e quindi poter giudicare) questa festa mobile. I motivi per cui ciò non è avvenuto sarebbe troppo lungo evidenziarli in questa sede, ma è innegabile che, al di là dei sicuramente straordinari spettacoli che vengono ogni anno realizzati, il valore aggiunto del Calendimaggio risiede proprio nella sua valenza antropologica; nel saper perpetuare il rito visto come forza attiva nel mantenimento dell’identità sociale.
Proprio in relazione a ciò, quindi, se tutti sono utili, per mantenere una identità definita, qualcuno diventa indispensabile; con buona pace del dogma di cui sopra.
Mi riferisco a quelle persone che, nell’immaginario collettivo, vengono annoverati tra i “romantici rottami” del Calendimaggio, ma la cui presenza tuttavia, è tanto utile quanto necessaria.
Il carico di conoscenze tramandate oralmente e che non si possono studiare sui libri è un tesoro che non può essere dimenticato (pena la trasformazione in semplice manifestazione, bella senza anima) e l’unico modo per tener viva la tradizione – e con essa i suoi riti- è voler e saper ascoltare le vecchie generazioni di Calendimaggio.
Peraltro ciò rappresenta – così come ha rappresentato – una formidabile occasione di amicizie trasgenerazionali e trasversali che costituiscono uno degli elementi più significativi del concetto di festa. Sono infatti nati, all’interno delle rispettive parti, rapporti fraterni fra persone di diverse età e interessi che, altrimenti, mai si sarebbero incontrate e che, in virtù di questa forte passione comune, ancora durano nel tempo
Tale aspetto antropologico, che rappresenta il vero humus del Calendimaggio, sembra essere messo in secondo piano e con l’avvento delle nuove formule, dei social e dei vari spettacoli “open”, si sta inesorabilmente perdendo.

Un popolo che dimentica il suo passato è un popolo senza futuro, scriveva Montanelli, e proprio questo dovrebbe diventare il nuovo mantra della festa.

Basta pensare che fino agli ultimi anni del secolo scorso tutte le generazioni erano massicciamente  rappresentate all’interno dei consigli, laddove una legge non scritta prevedeva un sacro rispetto per i diversamente giovani partaioli; un mondo parallelo, quello delle parti, dove le gerarchie erano naturali e direttamente proporzionali all’esperienza di Calendimaggio.
Oggi, non è più così; ci sono, all’interno delle parti, veri e propri “buchi generazionali”. Tutto è molto più veloce, e come canta Eugenio Bennato “il mondo corre, corre e correndo sempre avanti, i più lenti se li perde tutti quanti”; ed i più lenti sono, ineluttabilmente, i romatici rottami di cui sopra che hanno difficoltà (o si rifiutano) ad usare facebook, non sanno creare una storia su instagram e non partecipano ai flash mob o ai “contest” digitali, ma sarebbero felici di raccontare de visu ad un ventenne di quando “il Negro” fece finta di andare in parte de sopra o quando il priore de mammoni, rapito da i de sotto, fu rispedito al mittente perché indulgeva troppo nel mangiare e (soprattutto) bere. Perché i “social”, che apparentemente sembrano inclusivi nel dare la possibilità a migliaia di persone di accedere contestualmente ad informazioni da divulgare, nel Calendimaggio sono strumenti esclusivi che tagliano fuori inevitabilmente la nostra storia “viva”.
Si crea così un circolo vizioso che con una forza centrifuga (si spera) involontaria esclude sempre più le vecchie generazioni; i rituali; la magia.
Nel corso degli anni, con l’acuirsi di tale fisiologica deriva, si era trovato un correttivo attraverso il meccanismo elettorale dei cooptati che garantiva (rectius: avrebbe dovuto garantire) la presenza di “anziani” all’interno dei consigli; segno evidente che il problema qualcuno se lo era posto ed aveva tentato di risolverlo. Ma il “mondo corre” e non aspetta “chi non va in fretta e chi non ce la fa”; quindi, tanto inspiegabilmente quanto improvvisamente, tale sistema è stato spazzato via assieme ad altre “liturgie rituali” della festa; senza confronto con le vecchie generazioni. Senza un approfondimento condiviso con i partaioli; senza apparente ragione.
Ciò impone una riflessione ed una rivisitazione delle derive attuali, non più rinviabile. Per la festa stessa e per chi la vive; perché poter condividere questa esperienza totalizzante insieme a coloro che anagraficamente potrebbero esserti padre -se non nonno – è un privilegio che solo chi non lo ha vissuto stenta a coglierne il significato più profondo.

Alcune feste storiche come il Palio di Siena, il problema (che è fisiologico) se lo sono posto da tempo e lo hanno risolto attraverso un meccanismo elettivo di democrazia indiretta che garantisce la presenza di tutte le generazioni e le persone necessarie all’interno dei rispettivi organi di contrada: viene nominato un gruppo ristretto di autorevoli contradaioli che attraverso “consultazioni” qualificate (e che durano svariati mesi) stabiliscono la compagine di quello che per noi sarebbe il consiglio de parte (così facendo vengono rappresentate tutte le generazioni e le professionalità necessarie ed utili alla contrada). A quel punto si procede con le elezioni dove tutto il popolo della contrada voterà ad escludendum solo quelli che ritiene non meritevoli di far parte del “consiglio”; ma naturalmente, provenendo la proposta da personaggi indiscutibilmente autorevoli è molto raro che dalle urne escano “cancellature” eccellenti.
Questo è solo un esempio ma è emblematico di quanto sia imprescindibile riuscire a garantire la diversità e la trasgenerazionalità per difendere, nel tempo, la medesima identità sociale della parte.
Tornando all’assunto iniziale, quindi, tutti sono utili, nessuno è indispensabile, ma – per dirla alla Orwell- qualcuno è più indispensabile degli altri.

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