In tempi di coronavirus (stracit.) dove neanche i matrimoni si possono celebrare, propongo questo resoconto liberamente (molto liberamente), ispirato dalla notizia trovata in antiche cronache angelane: “Braccio Fortebraccio, morta Berta della Staffa a’ dì 30 dicembre [1420], sposa nella S. Cappella Nicola Tevella di Bernardo Varano, Signore di Camerino, con l’intervento de’ Signori di Foligno, di Fabriano, Matelica, altri, e 140 Dame”.
Vedovato che s’era, Braccio, della povera Berta della Staffa, tosto ci sguinzaglia sensali matrimonialistici per trovarci la sostituta di lignaggio adeguato a Signor di Perugia.
Perlopiù tornati a man vuote, ecco l’appenninico sensal giunger con la lieta novella:
“Ci starebbe la Varana, la Nicolina, non di primo pelo a dir vero, e vedovata anch’Ella ma buon partito e casato certificato in quel di Camerino”
Orsù l’affare è bell’e fatto, da stabilirne chiesa e giorno.
Problema mica da poco!
Che i Varane gradirebbero un matrimonio da loro, è d’uso sposarsi a casa della sposa, al che la peruginesca risposta è presto data: “Una chiesa come San Francesco al Prato l’avete mica a Camerino! E il nobil Braccio non promette, non si impegna in case del Signore di minor prestigio di codesta!”
La parte Varanesca s’appella alla tradizione, la Braccesca all’onore, lo stallo è garantito.
Senonché il sensale camerinese di buon senso infuso, ci cava fuori le castagne ormai bell’arrostite dall’invano scorrer del tempo.
Ci dice: “Nominaste orsù voi il Santo Francesco? Orbene si è disposti, noi, a venirci incontro alla dimora di Francesco, alla Santa Cappella della Porziuncola!” e così, di comun giubilo e con vigorose strette di mano, la Porziuncola fu.
Ma il giorno? Perché il Braccio non sempre libero è dai suoi baldi impegni, guerre, assedi e scazzottamenti a destra e manca.
Cosicché al sensal suo ci concede una finestrella da proporci alla donzella: “Sul finir dell’anno, meglio ancor la fine proprio, che di solito, tra Venturier, non ci s’arracagna”.
I Camerinesi, all’apprender la notizia, giubilanti e rassicuranti, giacché il Capodanno, per la Nicolina amata e affranta, una simbolica e vera rinascita sarebbe, per il parentado eziando un pensiero in meno per cenoni e gran balli e divertimenti e scoppiettamenti di fin d’anno!
Ma non appena la lieta novella giunge alle nobili orecchie Trincesche, il parentado Varanesco di alto lignaggio, problemi a non finire. Perché il Capodanno, in quel di Foligno, è cosa seria assai, da non decidersi all’ultimo istante ma in tempi larghissimamente anticipati!
“E no, sin da febbraro ci fissammo la bettola per la Grande Abbuffata! E no, sin dall’ottobre ci fermammo le tonsonatrici per l’ammirevole e ammirante chioma damesca! Il 31 questo matrimonio non s’ha da fare!” sentenziarono con quattro secoli d’anticipo i Trinci.
Nuovo consulto sensazionalistico, controllo e ricontrollo dell’agenda assediatoria Braccesca ed ecco infine che fatto 31 si può ben fare 30 e così è sul 30 dicembre 1420 che si dà il “visto si stampi” se solo si potessero stampare le partecipazioni (ma poco assai sarebbe tecnicamente mancato).
E allora con frotte di R.S.V.P. da ambo le parti, ecco che la schiatta Camerinese si raduna ai piè della strada Colfiorita per procedere assieme al parentado Trinci per la Cappella convolante.
Quel che successe poi ce lo racconta con entusiastiche parole l’eminentissimo storico perugino Pompeo Pellini, che così descrive lo sposalizio che definir regale è dir poco.
“Braccio gli andò incontro infino a Santa Maria degli Angeli d’Ascesi e ivi sposatala, se ne venne con esso lei a Perugia. Erano in compagnia della Sposa cento delle più nobili donne di Camerino, con più di quaranta Damigelle; vi furono i Signori di Fabriano e di Foligno e Berardo istesso con altri suoi fratelli; giunta che fu la Sposa con gli altri Signori e con Braccio alla porta della città, i Priori gli andarono incontro a piedi e gli tennero compagnia infino al Palazzo. I Giurati del Collegio della mercanzia e del Cambio gli andavano innanzi e li Dottori con aste in mano gli andavano dalle bande per agevolarle la via, guidati da più di 30 trombetti e altrettanti piffari, che sonando facevano a tutti la scorta, tutti d’una livrea di scarlatto vestiti: l’altre pompe che fatte vi furono, tutte furono sontuosissime; durarono alcuni pochi giorni le danze, e feste, e altri torneamenti per le piazze, e tutti i Signori vicini, e le castella, così sùddite come raccomandate fecero presenti alla Sposa convenevoli alla loro e Sua dignità. Fatte le nozze Braccio per non parere d’essersi dato troppo agli spassi della moglie, dimorato in Perugia alcuni pochi giorni, andò a Todi per alcune discordie…” (Pompeo Pellini – Dell’Historia di Perugia, volume II, pp. 251-252).