Non di soli papi e imperatori si nutrì la chiesa di San Francesco, ma anche dell’obolo lasciato dalla povera vedova. Il 14 aprile 1300 Puccio di Ventura Ascarani, di professione calzolaio, fece testamento prima di partire pellegrino alla volta di Roma, la città santa per la quale Bonifacio VIII aveva concesso una solenne indulgenza in favore di quanti avessero visitato le tombe degli apostoli e le sette chiese dei martiri cristiani. Per prudenza e per consuetudine, Puccio fece testamento lasciando scritto che in caso di morte il suo corpo dovesse essere riportato ad Assisi per trovare sepoltura all’interno della chiesa di San Francesco, alla quale destinò la somma di 60 lire cortonesi per far eseguire una immagine di Maria con un Crocifisso e la figura di un san Pietro accanto all’altare di San Giovanni, simile a una immagine mariana esistente sopra l’altare di Sant’Antonio all’interno della stessa chiesa: “Item voluit et iussit quod de suis bonis fietur in Ecclesia Beati Francisci de Assisio iusta altare Sancti Johannis unam ymaginem Sancte Marie ad similitudinem illius Ymaginis que est ista altare Santi Antonii in Ecclesia dicti Sancti Francissi cum uno Crucifisso et una ymaginem Santi Petri et pro dicto opere faciendo reliquid LX libras denariorum cortonensium minutatur totum”.
Il testatore si preoccupò di far aggiungere al suo testamento un codicillo che ne annullava il contenuto qualora fosse tornato vivo dal pellegrinaggio, per cui non sappiamo se l’altare di San Giovanni ebbe sì o no queste immagine sacre destinate a soddisfare non tanto le voglie di un papa o di un facoltoso cardinale, bensì la devozione di un ben più umile scarparo, benché la compagnia dei calzolai fosse in quel tempo la più numerosa in Assisi e benché il testamento di Puccio di Ventura abbondasse d’innumerevoli legati “pro anima sua” destinati a varie chiese e conventi, sebbene un sol caso facesse notizia di un’opera d’arte, appunto ritraente la Vergine, il Cristo Crocifisso e il principe degli apostoli. Da un documento del gennaio 1304 conservato presso l’archivio di San Francesco sappiamo che una Giovanna sposa di un tal Puccio di Ventura di Ascarano a quella data risultava già vedova, ma questo non prova che il nostro ciabattino fosse tornato morto dal suo pellegrinaggio romano e che la sua vedova avesse mandato in esecuzione le sue ultime volontà commissionando la decorazione dell’altare di San Giovanni. E allora?
Non è chi non veda l’importanza di questo testamento, che ricorda in San Francesco la presenza di due altari già nell’aprile 1300. Esistono ancora? A cosa corrispondono nella situazione odierna? Abbiamo due differenti opinioni. La prima si deve a Irene Hueck in un suo studio dedicato al lettorio che separava la navata dal presbiterio; l’altare di Sant’Antonio coincideva con la celebre Maestà di Cimabue nel transetto settentrionale, dove compare un celeberrimo ritratto di san Francesco a sinistra della Vergine, e cioè nel lato meno importante; sant’Antonio di Padova doveva trovarsi sul lato opposto e la sua immagine andò perduta con l’apertura di un collegamento tra il transetto e la cappella della Maddalena.
L’altare di San Giovanni era invece nel transetto meridionale, e coincide con la Madonna dei tramonti di Pietro Lorenzetti, benché dipinta in un’epoca posteriore e con altri soggetti rispetto al legato di Puccio di Ventura. La seconda opinione è mia e risale al 1993, quando scrissi come intorno all’anno 1300 dovessero già esistere le tre cappelle aperte in rottura sulla parete settentrionale della navata, una delle quali era dedicata a Sant’Antonio di Padova, laddove il titolo di San Giovanni poteva essere speso sia per l’altare con la Madonna dei Tramonti, dove ai lati di Maria troviamo san Giovanni Evangelista e san Francesco, sia per la cappella di San Giovanni Battista sulla testata del transetto meridionale, con Maria in mezzo al Battista e a san Francesco.
Insomma una gran confusione: potrebbe aver ragione Irene Hueck, potrei aver ragione io, potrebbe non aver ragione nessuno. Riguardo al legato di Puccio di Ventura non c’è alcun dipinto in chiesa che rappresenti san Pietro accanto a Maria e al Crocifisso. Evidentemente il pellegrino tornò a casa sano e salvo: passata la festa gabbato lo santo.