12 Aprile 2023

Seguire i soldi: Lupone di Monaldo e San Masseo de Plathea

Elvio Lunghi
Seguire i soldi: Lupone di Monaldo e San Masseo de Plathea

«Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). È la risposta di Gesù alle domande del vecchio Nicodemo: lo Spirito giunge inaspettato, arriva dove e quando meno te l’aspetti. Quanto vento è soffiato ad Assisi lungo l’antica via Petrosa! Oggi una scorciatoia per chi voglia raggiungere in auto l’Assisi di sopra evitando l’ingorgo che passa sotto la grande chiesa di San Francesco; un tempo una delle principali vie di accesso in città, la stessa che il giovane Francesco era solito percorrere uscendo dalla casa paterna sull’antico decumano. Se usciamo dalle mura all’altezza della porta di Moiano e imbocchiamo la via dell’Arce, oltrepassata la strada di circonvallazione del secondo dopoguerra, per via incontreremo il nucleo di calcestruzzo di un mausoleo romano. Nella valletta sottostante c’è il monastero di San Masseo, un Eigenkloster fondato poco dopo l’anno Mille da Lupone di Monaldo conte di Postignano e di Gaifana, di recente riattato dopo un secolare abbandono. Proseguendo per una ripida strada incontreremo un trivio dove si stacca una deviazione che costeggia un muro coperto d’edera, con una croce templare in rilievo sopra il concio di un arco, che ne suggerisce l’appartenenza a un ospedale dei Crociferi presente nell’episodio francescano della perfetta letizia. Salendo ancora percorrendo un sentiero tra gli raggiungeremo il convento di San Damiano, che Francesco ricostruì per accogliere Chiara e le sue oliveti, compagne. Scendendo invece la via dell’Arce, nel fondovalle incontreremo la chiesa della Maddalena, presso la quale Francesco incontrò un lebbroso che dette inizio alla sua esperienza di vita cristiana. Se c’è una via ad Assisi dove tutto parli di Francesco è questa qui, la si voglia chiamare via dell’Arce o via Petrosa. È la strada di campagna percorsa da questo giovane mercante, quando stanco di  «vivere nel peccato con passione giovanile», racconta Tommaso da Celano, un giorno si ammalò gravemente e una volta guarito «uscì, ammirando con più attenzione la campagna circostante: ma la bellezza dei campi, l’amenità dei vigneti, tutto ciò che è gradevole a vedersi non gli dava più alcun diletto. Era meravigliato di questo repentino mutamento e riteneva stolti tutti quelli che hanno il cuore attaccato a beni di tal sorta». La campagna coltivata è questa qui, ancor oggi piena di fiori, vigne e oliveti. Al centro di questo cono panoramico, nel 1059 o forse meglio nel 1091, un nobiluomo di antico lignaggio, che prendeva nome dai castelli di Postignano e di Gaifana nella montagna folignate, volle costruire una chiesa con annesso monastero di regola benedettina, intitolato a San Masseo, anche detto nei documenti San Matteo.

La confusione nelle date è tutta dello storico di Assisi Antonio Cristofani, che alla fondazione di San Masseo fa cenno con date differenti nel suo Delle storie di Assisi e in altri precedenti scritti: 1059, 1081, 1091. Secoli addietro gli storici folignati Ludovico Iacobilli e Durante Dorio avevano indicato la data giusta 1091. Ordine nelle date no ma ordine nei fatti sì è stato fatto da un erudito dei nostri tempi, Francesco Santucci, che ha ricostruito le vicende antiche di questa chiesa quando viveva minor fortuna dei nostri dì, quando era ancora nello stato indicato ai suoi tempi da Antonio Cristofani: «Noi vedemmo la chiesa di questo monastero, da molti anni disfatta per colpa di chi non avea né intelletto né amore delle arti, col suo presbiterio rilevato per alta scalea sul piano della nave, e con la sua absida leggiadramente ornata all’usanza delle prische basiliche. Ora non ne avanza altro che il sotterraneo sostenuto da due ordini di basse e gravi colonne». Poi, nel 2010, Sergio Gorietti, vescovo di Assisi e Nocera Umbra, affidò questo luogo desolato dai terremoti e dall’incuria umana a un profeta dei nostri giorni, Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, che ne fece ristrutturare gli edifici attingendo i soldi necessari da differenti rivi – verosimilmente fondi 8xmille e mutui bancari – e facendovi approdare una piccola comunità di monaci, che vi canta nella nave della chiesa gli uffici sacri e la parola del Signore: «Eppure il vento soffia ancora / spruzza l’acqua alle navi sulla prora / e sussurra canzoni tra le foglie / e bacia i fiori, li bacia e non li coglie» (Pierangelo Bertoli).

Elvio Lunghi

Parlo di storia dell’arte agli studenti stranieri di Perugia.

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