Nella chiesa inferiore di San Francesco lo stemma Orsini – bandato d’argento e di rosso, col capo caricato d’una rosa – compare alle pareti della cappella di San Nicola verso aquilone, ma anche all’interno della cappella di San Giovanni Battista verso ostro, mentre fra Ludovico da Pietralunga vide nel secondo Cinquecento lo stemma Orsini confuso tra le pietre del pavimento alle innumerevoli tombe di frati che circondavano l’altare maggiore.
Chiunque si fosse accostato alla tomba di san Francesco nei primi decenni del Trecento, con i papi stabilmente domiciliati in terra di Francia e il via vai degli imperatore tedeschi sopra e sotto le Alpi, ne avrebbe ricavato un chiaro invito: “Fermati tu che passi a osservare la gioiosa decorazione di questa chiesa. Lo stemma che vi compare è quello degli Orsini, illustre famiglia di baroni romani, dalla quale uscì nel secolo scorso un papa amico dei frati Minori e che vide fiorire in questo secolo il cardinale Napoleone Orsini, legato papale in Toscana al tempo di papa Clemente V, protettore di frati spirituali come Ubertino da Casale e Angelo Clareno, di mulieres religiosae come Angela da Foligno, Margherita da Cortona e Chiara da Montefalco, mecenate di pittori illustri che rispondono al nome di Giotto, Pietro Lorenzetti e Simone Martini. Il cardinale Napoleone fece costruire per il fratello Giovanni la cappella di San Nicola e la fece decorare dal fiorentino Giotto e da pittori umbri, e fece fare per sé la cappella di San Giovanni facendola decorare dal senese Pietro Lorenzetti. Nello spazio tra le due cappelle gli stessi Giotto e Pietro Lorenzetti dipinsero storie dell’infanzia e della passione di Cristo che mettono al centro la gloria di san Francesco e le virtù francescane di povertà, obbedienza e castità”.
Naturalmente non c’è nessuna scritta alle pareti della chiesa che spieghi la genesi di questi affreschi, ma gli stemmi Orsini e i ritratti del cardinale Napoleone che compaiono nelle vetrate della cappella di San Nicola e nella vela dell’Obbedienza sono un visibile parlare che tutti dovevano intendere nell’Italia del secolo di Dante, l’Italia spaccata tra Guelfi e Ghibellini che seguiva col fiato sospeso la contesa tra Carlo d’Angiò re di Napoli e Federico III d’Aragona re di Sicilia che stava mettendo a rischio la pace nell’intera penisola.
Non si può negare che Napoleone Orsini fosse un personaggio decisamente sopra le righe; uno che predicava bene e razzolava male; si circondava di fanatici assertori della povertà e poi mangiava in oro; si era fatto costruire in vita ben tre cappelle funerarie, una ad Avignone, una ad Assisi, la terza a Roma, per essere certo una volta defunto di trovar pace in un mausoleo degno di un barone romano, e gli andò male perché morì ad Avignone, lasciò scritto di voler essere riportato a Roma, dove le sue ossa furono disperse insieme alla vecchia chiesa di San Pietro in Vaticano; uno che ebbe al proprio servizio i tre maggiori pittori del tempo, che fece decorare con meravigliosi dipinti la tomba di san Francesco ad Assisi e la tomba della beata Margherita a Cortona, benché entrambi i santi avessero fatto della povertà lo stemma della propria esistenza.
La cappella di San Nicola ebbe le pareti decorate da storie di san Nicola, mentre sulla fronte esterna fu dipinta un’Annunciazione e alcuni miracoli compiuti da san Francesco su fanciulli, che inaugurarono le storie della vita della Vergine e dell’infanzia di Cristo dipinte da Giotto sulla volta del transetto. La cappella di San Giovanni Battista conserva un trittico murale di Pietro Lorenzetti sopra la tomba rimasta vuota, ma fu decorata con episodi della vita del Battista come s’intuisce dalle copie presenti nel San Fortunato di Todi.
Insomma, quando con Dante Alighieri diciamo che fu il sorpasso di Giotto ai danni di Cimabue a scrivere la parola fine sulla vecchia maniera greca – “credette Cimabue ne la pintura tener lo campo, ma ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura” – non dimentichiamo che l’arte nuova ebbe in realtà inizio alle pareti di Assisi grazie al confronto tra Giotto e Pietro Lorenzetti al servizio dello stesso padrone, il cardinale Napoleone Orsini, né più né meno di quel che avverrà due secoli dopo a Roma con Michelangelo e Raffaello al servizio di Giulio II.