Diversi anni fa, curiosando tra le carte dell’Archivio del Sacro Convento di Assisi, trovai in un registro di spese del convento di Rivotorto per gli anni 1628-1653 la notizia di una uscita di ottanta scudi pagati al pittore Cesare Sermei su ordine del Ministro Generale per quadri e altre decorazioni della “cappellina”: “E più furno pagati scudi ottanta al Signore Cavaliere Cesare Sermei Pittore per fattura de quadri, et altri ornamenti da lui fatti alla Cappellina, et il tutto per ordine del Padre Reverendo Generale”. I quadri sono le storie della vita di san Francesco visibili alle pareti del santuario di Rivotorto. Il Ministro Generale del tempo era fra Michelangelo Catalano, lo stesso che nel 1645, quando era custode del convento di Assisi, aveva dato inizio a Rivotorto alla costruzione di un convento più capiente, per ospitarvi “un Collegio di studio della sua Religione, ma non fu poi così eseguito per essere stato fissato in città per il servizio del gran Santuario di S. Francesco, onde il detto Convento di Rivotorto resta presentemente abitato da pochissimi religiosi” (Venarucci ante 1806). Il progetto fallì per la vivace opposizione della comunità di religiosi della Porziuncola, che criticarono aspramente il fondamento storico del soggiorno di Francesco a Rivotorto e l’identificazione del “tugurio”, presso il quale Francesco e i suoi compagni si erano momentaneamente stabiliti, nella “Maestà di Saccardo” sopra la quale Sisto V aveva fondato una chiesa nel 1586. Per tutta risposta, divenuto pochi anni dopo Ministro Generale, Michelangelo Catalano commissionò a Cesare Sermei una serie di tele ispirate al racconto delle origini francescane nel luogo di Rivotorto come era narrato da alcuni manoscritti antichi e libri a stampa conservati nell’archivio del Sacro Convento di Assisi, e fece riportare nelle cornici dei quadri una accurata trascrizione dei testi con l’indicazione dei loro autori: la Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio, la Cronaca dei XXIV Generali, la Leggenda dei tre compagni, il De conformitatae di Bartolomeo da Pisa, gli Annali di Luca Wadding. Ma in realtà, facendo un confronto tra i testi trascritti e gli autori nominati, ne risulta che alcuni brani sono stati ripresi dal testo dello Speculum Perfectionis, che corrisponde alla lettera alla Legenda antiqua sancti Francisci un tempo conservata ad Assisi e ora identificabile nel ms. 1046 della Biblioteca Comunale di Perugia.
I quadri erano un tempo esposti ad altezza d’uomo sulla pareti esterne del tugurio di Rivotorto, e erano stati pensati come un “visibile parlare” che raccontasse ai visitatori i primi passi dell’intuizione francescana, prima che con il trasferimento alla Porziucola avvenisse il passaggio a una forma d’istituzione riconosciuta dalla Chiesa di Roma: per citare un aureo opuscolo di Théophile Desbonnets. Si parla spesso tra gli addetti ai lavori di “questione francescana”, cioè delle origine dell’esperienza di vita cristiana da parte di Francesco e dei suoi primi compagni alla luce del racconto dei primi biografi, tanto da diventare essa stessa oggetto di studio a significare l’analisi delle fonti storiche che consentano di risalire al “vero” Francesco. Ebbene, di una “questione francescana” già parlano questi quadri di Sermei col proporre immagini e testi a fronte oltre due secoli prima che il pastore protestante Paul Sabatier pubblicasse nel 1893 una vita di san Francesco affidandosi allo studio delle fonti storiche esaminate dal punto di vista critico. Nel 1853 un violento terremoto gettò a terra la chiesa tridentina di Rivotorto e alla sua ricostruzione in stile neogotico i quadri di Sermei furono allontanati dallo sguardo dei visitatori per essere esposti lungo le pareti perimetrali dell’edificio. In qualche modo li si è censurati, mentre al contrario alle spalle dell’altare maggiore sono state di recente esposte due gigantografie delle storie della vita di san Francesco nella navata superiore di Assisi che rappresentano episodi avvenuti ai tempi di Rivotorto. Per citare un comico – Maurizio Ferrini – di un programma televisivo – Quelli della notte – nel quale era coinvolto un altro Catalano – Massimo -: “Non capisco, ma mi adeguo”.