12 Gennaio 2022

Seguire i soldi: l’abate Rustico

Elvio Lunghi
Seguire i soldi: l’abate Rustico

Sulla facciata della chiesa di San Pietro ad Assisi è una lunga iscrizione in versi leonini, che si apre con l’invocazione a Pietro in quanto pastore del gregge di Cristo, invocandone la protezione sul popolo a lui fedele, e si chiude indicando l’anno 1268 e il nome dell’abate che completò l’opera:  Pastor Petre gregis Christi fidelissime regis / Hic fidei pure populus stans sit tibi cure / Hoc opus est actum post partum Virgini factum / Tempore abbatis Rustici. “O Pietro, pastore fedelissimo del gregge di Cristo re, in questo luogo il popolo a te fedele stia sotto la tua protezione. Questa opera è stata completata mille duecento sessanta otto anni dopo il parto della Vergine, al tempo dell’abate Rustico”.

L’iscrizione utilizza caratteri in gotica epigrafica e è scolpita su un nastro continuo di pietra bianca, forse travertino o forse anche marmo di riuso, ma comunque differente dalla scaglia bianca o rossa in blocchetti regolari provenienti da cave locali con la quale è costruita l’intera facciata. Il nastro con l’iscrizione è composto da singoli blocchi allineati e corre sotto una cornice marcapiano sorretta da mensole. Nel suo aspetto odierno la facciata ha una forma quadrangolare, è divisa in due piani da una cornice orizzontale e in tre parti da lesene verticali. Nella metà inferiore, in scaglia rossa, si aprono tre portali corrispondenti alle tre navate interne: il centrale ha due leoni alla base e gli stipiti e l’archivolto decorati con racemi vegetali abitati da mostri; i due laterali hanno dimensioni inferiori e sono costruiti con le stesse pietre del paramento. La metà superiore, in scaglia bianca, ha tre grandi rosoni, con quello centrale di maggiori dimensioni. Sopra ancora c’era un tempo un timpano a vela, che crollò nel terremoto del 1832.

Il monastero benedettino di San Pietro ha una storia più antica della sua chiesa. Iacobilli lo dice già esistente nel 996, ma se ne hanno le prime notizie in una carta nell’archivio capitolare di San Rufino datata 1029, che ricorda una “terra sancti Petri qui est monasterium de Asisio”. Il monastero era posto all’esterno delle mura romane, lungo la strada che conduceva a Perugia. Nel 1295, venendo incontro alla richiesta di Niccolò IV di ampliare le mura per accrescere la popolazione residente, trovandosi Assisi in difficoltà nel mantenere il gran numero di religiosi, il Comune costruì una nuova cerchia di mura e ideò nel 1316 un piano regolatore che prevedeva la costruzione di borgate abitate. Fu così che l’abbazia di San Pietro venne a trovarsi all’interno delle mura in un’area interessata da una forte urbanizzazione. Nel frattempo, già all’inizio del XII secolo i monaci avevano adottato la riforma cluniacense e fu probabilmente in quest’epoca che fu ricostruito il presbiterio della chiesa, con la caratteristica cupola su pennacchi e giri concentrici di pietre secondo il modello di Cluny III (1088). Nel 1253 San Pietro fu consacrata da Innocenzo IV, nella stessa occasione in cui furono consacrate le chiese di San Francesco e di San Rufino. In questi anni l’abbazia passò dai monaci cluniacensi ai monaci cistercensi, e fu allora che venne costruita la facciata con i tre grandi rosoni e l’iscrizione con il nome dell’abate Rustico e la data 1268.

L’interno è diviso in tre navate da pilastri con archivolti e ha il fascino consueto degli edifici medievali in pietra a vista, ma deve questo aspetto a un radicale restauro della Soprintendenza ai monumenti  nell’anno 1954. In precedenza l’edificio aveva l’aspetto barocco raggiunto dopo nel 1612 quando l’abbazia tornò in mano ai benedettini neri dopo essere stata data per oltre un secolo in commenda agli Spinola di Genova.

Negli anni in cui fu eretta la facciata di San Pietro, al tempo dell’abate Rustico fu eseguita anche la decorazione del diaconico in fondo alla navata settentrionale, che rappresenta un san Giovanni irsuto dall’aria famelica per aver mangiato troppe locuste e una scena di caccia dove compare un cacciatore che corre dietro i suoi cani, tenendoli legati a una corda per impedire loro di rubare la preda, mentre entrambi a loro volta inseguono un cervo in fuga. È da questi dipinti che abbiamo una idea della vita quotidiana dei monaci di quei lontani secoli, che sulla base della regola di san Benedetto – ora et labora – si alternava tra il canto delle lodi in chiesa e la caccia e la pesca nei campi.

Elvio Lunghi

Parlo di storia dell’arte agli studenti stranieri di Perugia.

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