“Passeggero che passi per la via alza gli occhi e saluta Maria”. Il viandante, o ai giorni giorni il pellegrino o il turista che segua gli innumerevoli percorsi urbani per i rettilinei allineati alle terrazze della città antica, o per le ripide scalinate di una città fatta a scale c’è chi scende e c’è chi sale, ovunque volga lo sguardo vedrà sopra i portali delle chiese, sulle facciate degli oratori, all’esterno di abitazioni private innumerevoli Maestà attorniate da schiere di santi, dalle quali si leverà l’invito “Salutiam divotamente, l’alta vergine beata, e dicimo Ave Maria, sempre sia da nui laudata”. Tutto lascerebbe pensare che altrettanto numerose dovessero essere le Maestà rurali ai crocicchi delle strade di campagna. E invece, percorrendo le strade di questo angolo dell’Umbria, un viandante incontrerà sì numerosi tabernacoli, ma nessuno avrà un aspetto antico, contrariamente a quanto si vede in altri angoli della regione, dove ancora numerosi sono i tabernacoli dotati di affreschi del Tre, del Quattro, del Cinquecento. Naturalmente questo non significa che le campagne intorno Assisi fossero estranee a questa forma di devozione mariana che invocava la protezione celeste sui campi coltivati, le messi, i vigneti, gli oliveti, oltre naturalmente a proteggere da eventuali malattie gli animali domestici. Semplicemente non esistono più, consumate dal tempo o staccate e vendute. Di Maestà superstiti nelle colline che vanno dal Subasio all’ingresso in valle del fiume Chiascio ne conosco una alle porte de castello di Sterpeto, due Maestà estesamente ridipinte ma d’impianto antico eseguite sulle facciate di locande in località Mezzomiglio o presso lo stadio di Santa Maria degli Angeli, una Maestà con un affresco del XV secolo alle porte di Tordandrea, una Maestà del XIV secolo nei campi coltivati tra Bastia e Collestrada. Quest’ultima è chiamata la Madonna di Campagna perché le costruirono sopra una chiesetta per rimediare all’ingiuria di un maleducato che aveva tirato un sasso a Maria. Chissà cosa accadde alla Maestà che incontriamo all’interno della chiesa della Madonna di Colderba sulla sponda destra del Tescio, tra campi intensamente coltivati a vigne e oliveti. La chiesa ha le sembianze di un blocco parallelepipedo, con una facciata quadrata tra sottili paraste in laterizio che portano una trabeazione in forte aggetto. Al centro esatto della facciata, sopra l’architrave compaiono due stemmi lapidei con una banda e quattro palle, identificabili per l’insegna degli Sperelli di Assisi. Era questa la tenuta di Colderba, dei marchesi Sperelli nobile famiglia di Assisi. Racconta Andrea Tini come l’anno 1725 “nel bel mezzo della tenuta di Colderba, fu scoperta una antica Immagine della Vergine SS.ma che, pe’ prodigi tosto da essa operati si disse de’ miracoli. Trassero numerosi i fedeli a venerarla, e non v’ha dubio che lo stesso Comm. Gio. Ottavio [Sperelli] abbia assistito a soprannaturali avvenimenti. Da quanto siamo per esporre rilevasi che egli fermò subito in cuor suo di erigere ivi una chiesa, la quale avesse protetto quell’Immagine e accolto i devoti visitatori”. L’anno seguente, il 14 maggio 1726 monsignor Cesare Sperelli, vescovo di Terni e fratello di Giovanni Ottavio e del cardinale Sperello, murò la pietra di fondazione della nuova chiesa. Fu inugurata l’8 settembre 1728 sotto il titolo della Natività di Maria SS.ma dei Miracoli con una cerimonia religiosa celebrata dall’abate Niccolò Manciforti. La chiesa di Colderba è simile alla miriade di micro santuari sorti sopra un’immagine sacra nei secoli precedenti la fine degli stati di vecchio regime. Eppure la chiesa di Colderba non fu costruita dai santesi di una confraternita, ma dal proprietario del terreno dove sorgeva la Maestà miracolosa. Cioè è una via di mezzo tra un santuario rurale e una chiesa annessa a una proprietà privata, per il servizio dei contadini che ne lavoravano le terre, come la chiesa di San Biagio lungo la strada che collega il castello di Tordibetto al torrente Tescio, che è del tutto identica alla Madonna di Colderba ma è stata gravemente danneggiata dal terremoto del settembre 1997, mai restaurata e i dipinti venduti. Mentre la chiesa di Colderba è stata accuratamente restaurata grazie alle cure amorevoli di Gianfranco Chiappini, che non si è limitato a mettere in sicurezza la propria abitazione, ma si è anche preoccupato della casa di Dio, o più semplicemente di Maria. Cosa più unica che rara ai nostri giorni.