Ad Assisi la grande storia finì nel settembre 1319, quando un avventuriero locale di fede ghibellina, Muzio di Francesco, riuscì a prendere il potere per quasi un biennio, fece guerra alle città guelfe circostanti e per sostenere la sua fazione politica s’impossessò del tesoro pontificio rimasto in custodia nella sacrestia di San Francesco dai tempi in cui Bertrand de Got era stato eletto pontefice (1305), prendendo il nome di Clemente V ma rifiutando di scendere in Italia. Morto Clemente fu eletto papa un altro francese, Giovanni XXII, che fissò la sua residenza ad Avignone e da questa sede scomunicò nel 1320 Assisi per avere indietro quanto gli era stato tolto, invocandole contro la guerra santa. Perugia rispose all’invito alla crociata, cinse d’assedio Assisi e nel marzo 1322 la conquistò abbattendo le porte della città. Assisi fu condannata all’interdetto: nessun ufficio sacro poteva essere celebrato, ma poiché la città non riuscì a saldare il debito prima del 1352, l’interdetto fu mantenuto fino a quella data, salvo brevi sospensioni. Per sovrapprezzo nel 1322, intervendo in una questione sollevata da Giovanni XXII intorno alla povertà di Cristo e degli apostoli, i frati Minori riuniti in capitolo a Perugia si espressero in favore della povertà apostolica, scontrandosi frontalmente con il papa che minacciò di sopprimere l’ordine francescano. Questi violenti scontri ebbero pesanti conseguenze per la città e per la religione di san Francesco. Si moltiplicò il numero dei cittadini riuniti in minuscole confraternite perché era il solo modo per aggirare i divieti, ma furono bloccate di colpo le imprese decorative che avevano dato vita a un’arte nuova, per l’improvvisa eclisse dei grandi mecenati ecclesiastici che in gara avevano portato in Valle Umbra i pittori più in vista del tempo: il solo Napoleone Orsini riuscirà a riavere quanto gli era stato tolto, ma non si farà più vedere ad Assisi, né da vivo né da morto, e nessuno si accollerà gli oneri per il rifacimento della decorazione della navata danneggiata dall’apertura delle cappelle.
Con la rimozione del lettorio che separava la chiesa dei frati dalla chiesa del popolo, e l’apertura di una serie di cappelle private, la preesistenza della torre campanaria non consentì la costruzione di una cappella profonda nel lato meridionale della prima campata, ma per simmetria fu scavato egualmente un arcone nello spessore del muro e fu chiuso con le pietre decorate a mosaico rimosse dal pontile, per ricavarne un pulpito sopraelevato accessibile dalla sacrestia retrostante. In questo spazio risicato fu eretto un piccolo altare che venne intitolato a san Stanislao, vescovo e martire di Cracovia († 1079), canonizzato ad Assisi da Innocenzo IV il 17 agosto 1253. La parete di fondo di questa cappella è decorata da una Incoronazione della Vergine e l’intradosso da due miracoli di san Stanislao e da una Crocifissione. Sulle fasce divisorie è dipinto uno stemma -– in campo verde interzato in banda, caricato di quattro globi o dischi dorati – che fu identificato da Beda Kleinschmidt per quello dei Soldani di Assisi. Il membro più autorevole di questa famiglia fu uno Jolo Soldani, che morendo nel 1337 si fece fare una tomba nella chiesa abbaziale di San Pietro e istituì numerosi legati in favore di confraternite di Assisi. Jolo ebbe un figlio frate di nome Giovanni, che era nel 1337 custode del Sacro Convento. La decorazione della cappella di San Stanislao risale verosimilmente a questi anni, e si spiega il suo aspetto non finito per la fine nel 1338 del mandato di Giovanni Soldani: una volta persa la carica fra Giovanni ridiventò semplice frate.
Queste storie di san Stanislao furono segnalate da Giorgio Vasari nella vita di Tommaso di Stefano detto Giottino, mentre fra Ludovico da Pietralunga fece il nome di Puccio Capanna di Assisi. Nel 1956 fra Giuseppe Abate scoprì negli archivi di Assisi un documento che dava a Puccio Capanna una Maestà ricordata da Vasari nella vita di Giottino e da fra Ludovico sotto il nome di Puccio Capanna, aprendo la via al riconoscimento di questo straordinario allievo umbro di Giotto – altri dicono fiorentino fermatosi ad Assisi per amore – caratterizzato da una maniera “dolcissima e unita” ritenuta uno dei vertici della pittura italiana nel secondo quarto del Trecento.