01 Giugno 2022

Seguire i soldi: Francesco e il vescovo Guido a Santa Maria Maggiore

Elvio Lunghi
Seguire i soldi: Francesco e il vescovo Guido a Santa Maria Maggiore

Negli anni immediatamente successivi la conclusione del Concilio di Trento (1563), Ludovico da Pietralunga, un frate del Sacro Convento che era solito accompagnare i visitatori illustri – fu anche autore di una guida a stampa destinata ai pellegrini – scrisse per suo uso una accurata descrizione della chiesa di San Francesco e di altri santuari in Assisi. Tra le altre notizie ricordò un’immagine di san Francesco presente “al Vescovado, titolo di tal nome Santa Maria (…) dove che, risguardando nella tribuna, over nel coro, quale è dietro alla altare, gli sonno lettere alli piedi di San Francesco che dicano cusì: Sanctus Franciscus fecit fieri hanc treunam sub anno Dni 1216. Sancta Maria ora pro nobis”. Questa figura era ancora visibile negli anni ’20 dell’Ottocento, quando Johann Anton Ramboux, un pittore tedesco di passaggio ad Assisi per studiare gli affreschi della chiesa di San Francesco, eseguì una copia dell’abside di Santa Maria, compreso il San Francesco e la lunga iscrizione trascritta da Ludovico da Pietralunga.

Pochi anni dopo, nel 1832 un fortissimo terremoto devastò la Valle Umbra e colpì duramente anche Santa Maria Maggiore, provocandone il crollo della facciata e della navata meridionale. Restò in piedi la sola tribuna absidale, per avere solide fondamenta sopra le pietre delle mura romane, ma ne restarono pesantemente danneggiati gli affreschi disegnati da Ramboux e cadde a terra la figura di San Francesco con la scritta che gli assegnava il merito – “fecit fieri” – di aver fatto ricostruire l’anno 1216 la tribuna della chiesa, portando a termini i lavori di ricostruzione di quella che era stata la prima cattedrale di Assisi accennati da un’epigrafe sul rosone di facciata, con il nome di un Giovanni – lo stesso architetto della nuova cattedrale di San Rufino? – e l’anno 1163. San Francesco nel 1216 era ancora in vita e non poteva essere dichiarato santo – semmai nel 1216 era acclamato santo vivo dai suoi innumerevoli seguaci -, anche se nel dipinto la figura che lo rappresentava aveva il capo nimbato e i segni delle stimmate; ma la stessa notizia è ribadita da un’epigrafe in una minuscola lapide che è ancora murata tra gli archetti di coronamento della parete esterna della tribuna. Questa epigrafe fu notata nel 1887 da Michele Faloci Pulignani, che gli dedicò un articolo nel secondo numero di Miscellanea Francescana, la rivista di storia francescana da lui fondata, presentandola come “il più antico documento per la storia di san Francesco: “MCCXVI INDIC(tione) QU(arta) ET A(nni) DECIMI TE(m)PORE EP(iscop)I GUIDI ET FRATRIS FRA(n)CIS(ci)”.

L’epigrafe era incisa molto rozzamente e addirittura il lapicida aveva calcolato male le misure ripetendo due volte l’incipit con il riferimento all’anno e all’indizione: un complicato computo del tempo per cicli quindicennali. Faloci Pulignani sottolineò come l’anno 1216 corrispondeva alla quarta indizione. Il numerale dieci che si leggeva appresso poteva essere spiegato come un ricordo del decimo anno della conversione di Francesco, avvenuta con la rinuncia ai beni paterni l’anno 1206 nell’attiguo palazzo vescovile. L’epigrafe era stata messa in ricordo di un qualche lavoro eseguito nel 1216, indizione quarta, al tempo del vescovo Guido e di frate Francesco: la ricostruzione della tribuna celebrata anche dall’immagine dipinta alle spalle dell’altare. Nel 2000 Chiara Frugoni propose una nuova lettura e una nuova interpretazione dell’epigrafe – “+ MCCXVI INDICTI(one) QUA(r)TA DECIMA I(n) TE(m)PORE EPI(scopi) GUIDI ET FRATRIS FRA(n)CIS(ci)” – dalla quale risultava che il numero dell’indizione non era quattro ma quattordici, e che aveva sbagliato il lapicida a scrivere due volte MCCXVI perché l’anno solare era MCCXXVI, quando appunto cadeva l’indizione quattordicesima. Semmai l’episodio della vita di Francesco celebrato dall’epigrafe era legato al ruolo da lui svolto di pacificatore tra vescovo e podestà, di cui è notizia nel Cantico delle creature: “Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostenVo infirmitate e tribulatione. Beati quelli che ‘l sosterranno in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati”. Nel 2002 una terza lettura dell’epigrafe fu pubblicata da Nicolangelo D’Acunto,: “+ MCCXVI INDICT(ione) Q / + MCCXVI INDICT(ione) Q/VA(r)TA DECIMI / TE(m)PORE EPISCOPI / GUIDI ET / FRATRIS / FRANCS(ci)”. Insomma, l’anno 1216 andava letto proprio 1216 e l’indizione era proprio la quarta e non la quattordicesima, ma cosa voleva significare quel dieci posto in mezzo? Non avendo una risposta, D’Acunto ipotizzò che l’epigrafe fosse stata messa al suo posto in un momento successivo il 1216 per ricordare un evento legato all’anno 1216. Magari in origine l’epigrafe doveva trovarsi all’interno della chiesa e fu spostata sulla parete esterna – venne “musealizzata” – quando fu decorato ad affresco il catino absidale.

Non avendo neanche io una risposta mi taccio. Mi limito a dire che Francesco di Pietro Bernardoni nel 1216 era persona nota in Assisi, tanto che le stesse pietre ne gridavano il nome sull’esempio dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme: “Vi dico che, se questi taceranno, le pietre lo grideranno” (Lc. 19, 40).

Elvio Lunghi

Parlo di storia dell’arte agli studenti stranieri di Perugia.

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