Si vuole che la primitiva cattedrale di Santa Maria Maggiore sia stata costruita nel IV secolo da un vescovo Savinio sopra un tempio pagano intitolato al dio Giano nella terrazza inferiore della città romana. Scavi effettuati nel 1864 e nel 1954 hanno riscoperto nel sottosuolo i resti di una domus con decorazioni pittoriche risalenti al I secolo d.C., nella quale si è voluto riconoscere l’abitazione del poeta umbro Properzio che era originario di Assisi. Nel 1035 Santa Maria Maggiore perse il titolo di cattedrale, passato sotto il vescovo Ugone alla chiesa di San Rufino nella terrazza superiore dell’abitato. Santa Maria Maggiore continuò ad essere residenza vescovile e fu per questa ragione che venne rinnovata in forme romaniche insieme alla cattedrale di San Rufino su disegno dell’architetto Giovanni da Gubbio che ricostruì quest’ultima. Il nome di Giovanni e la data 1163 si leggono a Santa Maria Maggiore nel rosone di facciata. Sulla tribuna esterna c’è invece una piccola lapide con i nomi del vescovo Guido, di frate Francesco non ancora santo, e l’anno 1226, un tempo leggibili anche in un affresco nella conca absidale, prima che cadesse a terra a causa di un terremoto che danneggiò nel 1832 l’intero edificio.
Come tutte le chiese di Assisi, anche l’interno di Santa Maria Maggiore fu adeguato alle nuove forme della riforma tridentina. Altari e stucchi seicenteschi sono caduti nel terremoto del 1832 o sono stati rimossi per un violento ripristino neomedievale attuato dalla Soprintendenza dell’Umbria negli anni ’50 del Novecento, che ha riportato alla luce una decorazione frammentaria risalente ai secoli XIV-XV, prevalentemente figure di santi nelle navate e storie della vita della Vergine nel catino absidale.
L’immagine meglio conservata è dipinta nel setto murario che divide la navata centrale da quella settentrionale, a sinistra dell’ingresso, e rappresenta Maria nell’iconografia della Madonna della Misericordia, in piedi vestita di rosso e con un manto blu foderato di vaio tenuto aperto a proteggere un gruppo di fedeli in ginocchio ai suoi piedi, divisi tra i maschi alla sua destra e le femmine alla sua sinistra. A destra della Vergine compare un santo vescovo con in mano il pastorale e un pettine di ferro, identificabile in Biagio vescovo di Sebaste, martirizzato in Armenia nel IV secolo per essersi rifiutato di abiurare il cristianesimo, avendo le carni straziate con i pettini di ferro utilizzati per cardare la lana. Sull’altro lato è una figura femminile con in mano un cero e un piatto con due globi oculari, identificabile in santa Lucia di Siracusa, martirizzata nel IV secolo sotto l’imperatore Diocleziano e invocata contro le malattie alla vista. San Biagio, che era anche medico, è invocato contro le malattie alla gola. Maria mater Misericordiae è invocata contro tutto e tutti.
Una scritta presente nella cornice sotto le tre figure fa il nome di un altrimenti ignoto Francesco di Pietro di Nuto e una data incompleta con l’anno 1380, ma alla quale potrebbero mancare una V o una X, o altre lettere ancora o anche niente: “Hoc opus fecit fieri Franciscus Petri Nutii A.D. M.ccc.lxxx”. Questo Francesco fu verosimilmente affiliato alla fraternita di Santa Maria del Vescovato, una compagnia di laici che aveva la sua sede all’interno della porta d’ingresso delle mura urbiche, a monte di Santa Maria Maggiore, e che era un tempo decorata da immagini della Madonna della Misericordia e di san Biagio. Il quale san Biagio era anche invocato come patrono dei cardatori di lana, che esercitavano il loro lavoro nelle fonti di Moiano nella valletta all’esterno delle mura proprio sotto la sede della fraternita. Se ne deduce che la fraternita dovesse accogliere sia i devoti alla Vergine sia i lavoratori affiliati all’Arte della Lana.
L’autore di questo dipinto lavorò in regime di monopolio nell’ultimo quarto del Trecento e gli si possono assegnare gran parte dei rari dipinti superstiti in città. La sua opera più significativa è uno stendardo processionale conservato del Museo della Cattedrale, ma che fu dipinto nel 1377 per la fraternita di San Francesco, che si riuniva in una chiesa intitolata a San Leonardo della quale si sono perse le tracce. Potrebbe essere identificato in un Giovanni di Nicola da Bettona, documentato a Assisi tra il 1363 e il 1414 e collaboratore nel più noto e dotato Pace di Bartolo, rammentato nelle Vite di Giorgio Vasari come discepolo di Giotto.