Ho una scatola piena di foto in bianco e nero dell’interno della chiesa di Santa Maria della Rocchicciola. Me le dette fra Gino Zanotti – sono foto di Giulio De Giovanni – quando sognavamo di scrivere insieme un libro sulla storia e la decorazione di questa chiesa. Il libro non si fece più, vuoi perché fra Gino non trovò il tempo per rivedere la cospicua documentazione conservata nell’Archivio del Sacro Convento, vuoi perché io ero ancora troppo giovane per scrivere un testo adeguato. Nel 1983 pubblicai un articoletto per gli Atti dell’Accademia Properziana del Subasio, dove mi limitavo a riepilogare la poca letteratura esistente sulle immagini presenti in chiesa, come si faceva allora nei cataloghi dei musei. Poi più nulla fino al 2019, quando dedicai alla chiesa di Rocca Sant’Angelo il capitolo finale di un libro intitolato Immagini degli Spirituali, concentrandomi sul significato delle immagini. Se qualcuno è disposto a sostenerne la stampa, ora sono pronto a scrivere il testo.
Cosa hanno d’interessante quelle vecchie fotografie? C’è una cosa che vi compare e che non esiste più, ma che ricordo perfettamente: a pochi metri dall’ingresso l’unica navata era attraversata da un arco che portava il peso della copertura a due spioventi e capriate lignee. Fu costruito quando la chiesa era già decorata, e come fu rimosso tornarono alla luce una Santa Caterina sulla parete verso oriente e un San Sebastiano sulla parete verso occidente, solo in parte in precedenza visibili. La prima era stata dipinta sullo scorcio del ‘300 da un pittore riconoscibile in vari luoghi tra Assisi e Perugia, la cui opera più significatica era uno stendardo eseguito nel 1377 per la fraternita di San Leonardo. Il secondo era di un pittore riconoscibile in varie chiese di Assisi e forse identificabile in un Bartoldo o Bertoldo di Giovanni documentato tra il 1450 e il 1501; nel 1502 era già morto. Prima della rimozione le paraste d’imposta presentavano alcune immagini ex voto che si datano per via stilistica nell’ultimo quarto del ‘400: il terremoto che portò alla costruzione dell’arco dovrebbe risalire agli anni immediatamente precedenti.
Se questo arco è stato rimosso nei restauri della chiesa seguiti al terremoto del 1997, a breve distanza è ancora al suo posto un secondo arco che somma la funzione di sostegno a quella di divisione tra la pars plebana e la pars presbiterialis, cioè tra la chiesa del popolo e la chiesa del clero. Non si tratta di un semplice arco di sostegno, ma di due tramezzi murali che sporgono dalle pareti laterali quanto basta per accogliere due mense sormontate da due finte pale d’altare dipinte a buon fresco, una che ritrae una Madonna col Bambino tra i santi Sebastiano e Lucia e l’altra una Crocifissione con ai piedi Maria e Giovanni. Sopra i due altari i tramezzi murali proseguono fino alla copertura in travetti lignei dei due spioventi, e lasciano un vuoto centrale di forma ogivale che consente di accedere al presbiterio e di assistere alla celebrazione liturgica sull’altare maggiore. Le funzioni celebrate sopra i due altari minori erano verosimilmente legate a una o due confraternite di laici, prima che se ne costruisse la sede l’anno 1550 in un ambiente addossato alla chiesa. Anche questo arco di sostegno è stato costruito quando le pareti laterali avevano una loro decorazione pittorica, ma ha risparmiato le immagini preesistenti. Alla base della Crocifissione si legge la data 1502, che è il termine post quem non per la costruzione dell’arco di sostegno ma anche per l’adeguamento liturgico della piccola chiesa.
Nei due affreschi – Madonna e santi, Crocifissione – è facile riconoscere la stessa maniera. Sono cioè opera di un medesimo pittore, che proposi d’identificare nel 1983 in Orlando Merlini da Perugia, un seguace di Bartolomeo Caporali e di Fiorenzo di Lorenzo che dipinse per la chiesa di Santa Maria della Vittorina alle porte di Gubbio una Crocifissione pressoché identica a quella della Rocchicciola. Indipendentemente da chi ne sia stato l’autore, ciascun quadro presenta nella cornice inferiore una scritta con i nomi dei donatori. Sotto la Maestà si legge: “Questo s. Sebastiano fe fare frate Iohanne Franzoso – Quista Madona con santa Lucia fe fare Salvatore de Austino”. Sotto la Crocifissione: “Hoc opus fecit fieri Costantius de Austino”. Tre donatori per due dipinti, o meglio due donatori per la sola Maestà: un frate per il san Sebastiano, un laico per la Madonna e la santa Lucia. Tipico esempio di Crowdfunding, che doveva essere la norma nella committenza figurativa di quei tempi: se i frati non disponevano delle somme necessarie per eseguire le opere auspicate, se ne cercava la fonte sommando mille differenti rivoli. In questo caso per i dipinti bastarono tre donatori.