Sono noioso, tutte le volte che salgo al castello di Rocca Sant’Angelo per vedere la chiesa di Santa Maria, mi ripeto quel che scrisse Bonaventura Marinageli nel 1920: è “un tesoro tra i monti”. È la chiesa francescana più bella di Assisi, perché San Francesco fu voluta da un papa e fu fatta decorare da pontefici, la Porziuncola era dei monaci di San Benedetto al Subasio, San Damiano del capitolo della cattedrale, le Carceri sono tutto natura ma poco o niente arte, Rivotorto è semplicemente meschina come lo sono le chiese costruite nell’Ottocento. Di più: le chiese che ho nominato, San Francesco, Santa Maria degli Angeli, San Damiano, le Carceri, Rivotorto, sono state via via rinnovate in età tridentina confondendo dipinti medievali e barocchi, o sono state pesantemente ripristinate nel gusto purista seguito dal Romanticismo per risalire alle origini medievali in maniera più o meno discutibile. Mentre Santa Maria a Rocca Sant’Angelo è rimasta intatta, ha conservato integra la sua decorazione pretridentina, possiede ancora il fascino delle origini francescane, il candore dei Fioretti. Eppure la sua decorazione è come un puzzle composto con tessere disposte a caso, non segue un filo logico, è decorata da immagini incompiute, ha il fascino dei film surrealisti di Louis Būnuel, dove non si capisce nulla però hanno una loro bellezza. Insomma, a parlar chiaro, a osservarla attentamente questa chiesa è un casino, però è bella lo stesso: ce n’è una ragione?
La ragione – a trovare una spiegazione in questo caos – va cercata in quel che sappiamo dei frati vissuti nel luogo dell’Arce dal poco che si ricava da notizie d’archivio e dalla storia delle immagini. Si sa che questo convento già esisteva nel 1300 e che nel 1309 ospitava una comunità di frati che tenevano uno stile di vita “povero” comune ai frati dei luoghi di San Damiano e di Santa Croce dell’Isola. I tre conventi – San Damiano, l’Isola, Rocca Sant’Angelo – erano legati alla persona di Corrado da Offida: famoso ‘spirituale’ che era stato introdotto a una “glossa francescana” dalla viva voce di frate Leone, la “pecorella di Dio” come era solito chiamarlo Francesco che lo aveva nominato suo segretario: “scrivi frate Leone che quivi è perfetta letizia”. Alla morte di Corrado da Offida, avvenuta a Bastia Umbra il 12 dicembre 1306, Rocca Sant’Angelo era rimasto un eremo frequentato da frati che seguivano in stretta osservanza la regola e il Testamento di san Francesco, e fu probabilmente in questo luogo che si rifugiarono alcuni “spirituali de opinione” in fuga dal capitolo di Perugia nella Pentecoste del 1322, quando avvenne lo scontro con Giovanni XXII sulla povertà di Cristo e degli apostoli. Di queste vicende resta un ricordo nella decorazione del catino absidale, dove l’episodio della fuga in Egitto occupa il posto principale.
Nel 1373 il convento dell’Arce figura tra gli undici luoghi concessi da Gregorio IX a fra Paoluccio Trinci; il quale nel 1368 aveva dato inizio nel luogo di Brogliano, sull’altopiano di Colfiorito, alla riforma dell’Osservanza francescana che si proponeva di seguire sine glossa la regola originaria di san Francesco. Alla morte di fra Paoluccio, avvenuta nel 1391 a Foligno, ne diventò successore fra Giovanni da Stroncone, e è probabilmente un ritratto di questo frate il personaggio in veste di donatore che compare sotto l’immagine di una Madonna col bambino tra i santi – da sinistra – Caterina d’Alessandria, Francesco, Antonio Abate e Maria Maddalena sulla parete occidentale della chiesa. Sotto il trono della Vergine si legge con difficoltà una scritta frammentaria che termina con la data MCCCLXXXXIII (1393): fra Giovanni ricoprirà la carica di vicario per la riforma dell’Osservanza all’interno dei frati Minori fino alla morte avvenuta nel 1418. Che fra Giovanni fosse solito farsi ritrarre nel ruolo di donatore d’immagini sacre lo si vede nella chiesa di San Francesco a Stroncone, che conserva un affresco con una Madonna del latte e san Francesco che presenta fra Giovanni in ginocchio accanto allo scalino del trono. Anche Corrado da Offida si fece ritrarre ai piedi della Vergine in una grande tavola dipinta per il luogo di San Damiano, ma questa tradizione ebbe origine con il ritratto di frate Elia nel ruolo di donatore ai piedi del Crocifisso che dominava un tempo la navata della chiesa superiore di Assisi.