“… l’anno passato, mentre dovevo consecrare l’Ill.mo Card. Buoncompagni all’hora Legato di Perugia, nella Chiesa superiore di san Francesco di qui, havendo per tal funtione fatto calare à basso il Crocifisso, che stava sopra un trave in mezo della medesima Chiesa, fu trovata à piedi di detto Crocifisso un’Effigie di Frat’Elia con l’Habito di s. Francesco, che è da Cappuccino, con le scarpe all’Apostolica, e con l’Iscrittione che mando qui inclusa … Frater Elias fecit fieri / Jesu Christe pie / Miserere precantis Eliae. / Juncta Pisanus me pinxit / Anno Domini M. CC. XXXVI. / Jndictione Nora.”.
Il 3 agosto 1624 il vescovo di Assisi Marcello Crescenzi comunicò al cardinale Federico Borromeo arcivescovo milanese la scoperta occorsa l’anno precedente, nel calare a terra il grande Crocifisso in testa alla navata della chiesa superiore di San Francesco in Assisi, di un’iscrizione nel subpedaneo accanto alla figura di un frate presente ai piedi del Cristo, che ne svelava l’identità in fra Elia, l’anno 1236 e il nome del pittore Giunta Pisano. La lettera di Marcello Crescenzi fu trovata da Giuseppe Rotondi nel fondo Borromeo della Biblioteca Ambrosiana di Milano, che la pubblicò nel 1927 sia nell’Archivio Storico Lombardo che nella Miscellanea Francescana, ma la presenza di un ritratto di fra Elia accanto al nome di Giunta Pisano e all’anno 1236 nel perduto Crocifisso in San Francesco era già stata resa nota negli Annales Minorum di Luca Wadding sotto l’anno 1623, seppure con minore precisione rispetto a Marcello Crescenzi. In epoca precedente, nel 1568 Giorgio Vasari aveva ricordato nella vita di Margaritone d’Arezzo un Crocifisso “dipinto alla greca” nella chiesa di sopra di San Francesco ad Assisi, mentre nessuna notizia del Crocifisso era stata data nella minuziosa descrizione della chiesa dovuta a fra Ludovico da Pietralunga negli anni ’70 del Cinquecento. Insomma si trattò di una scoperta davvero importante, non solo perché restituì un’identità all’autore di questo Crocifisso dipinto, prima che lo si perdesse a causa di una rovinosa caduta nella seconda metà del Seicento, ma anche perché legò l’esecuzione dell’immagine a una data e a un committente preciso: ancor oggi l’anno 1236 è indicato da parte della critica come il termine post quem non più attendibile per la conclusione dei lavori nella chiesa superiore di Assisi.
Soprattutto, la scoperta della scritta dimostra che il frate in adorazione del Cristo che si vedeva in quel Crocifisso non ritraeva san Francesco in orazione, bensì il ministro generale dell’ordine dei frati Minori che per conto di Gregorio IX aveva seguito i lavori di costruzione della grande chiesa. Questa presenza non stava lì a insegnare ai frati come pregare, non era un esempio di umiltà, quanto un atto di superbia da parte di un frate che aveva anteposto la frequentazione dei poteri forti di quel tempo – il papa, l’imperatore – alla sequela Christi di Francesco. Ne era seguito l’abbandono di un modello iconografico dominante in precedenza nella regione: il Christus triumphans esemplato dal Crocifisso di San Damiano davanti al quale aveva pregato il giovane Francesco, per esporre nella chiesa papale di Assisi un Christus patiens di origine bizantina, col Cristo morto che invitava a prendere la spada e combattere le crociate come facevano i cavalieri cristiani impegnati nella riconquista di Gerusalemme: e fra Elia a Gerusalemme c’era stato ma evidentemente a differenza di Francesco non aveva parlato di pace bensì di guerra.
Nel capitolo generale indetto per la Pentecoste del 1239, fra Elia fu deposto da ministro generale. Per qualche tempo mantenne la custodia di Assisi, per poi lasciare precipitosamente la città e cercare rifugio presso la corte dell’imperatore Federico II di Svevia, incorrendo nella scomunica da parte di Gregorio IX. Il suo comportamento “fu occasione di scandalo persino agli incolti e agli altri secolari; e difatti il popolino, i fanciulli e le fanciulle, quando incontravano i frati minori per le strade della Toscana, come centinaia di volte ho sentito, li canzonavano così: Hor atorno fratt’Helya, / Ke pres’ha la mala via” (Salimbene de Adam).