“Nella cappella de S.ta Catharina sta il corpo del cardinale Egidio Spagnolo il quale vedé il corpo de S.to Francesco et pagò cento Milia scutj per fabrica del convento”. È quanto racconta il Libro dei morti della chiesa di San Francesco nell’anno 1509, ma è tutto vero o è una mezza verità? Perché la cappella di Santa Caterina posta in fondo al nartece d’accesso nella chiesa di sotto di San Francesco esisteva prima che Egidio de Albornoz riportasse sotto il dominio della Chiesa di Roma le città che se ne erano allontanate al tempo del lungo autoesilio avignonese dei papi: non fu dunque il cardinale a farla costruire, come dimostrano le vetrate riconducibili a Giovanni di Bonino che vi s’incontrano, nelle quali non compare l’insegna del cardinale come invece accade in quasi tutte le vetrate delle cappelle fatte decorare da donatori particolari.
Quando Innocenzo VI pensò fosse giunto il tempo di tornare a Roma e nominò l’Albornoz suo legato per l’Italia, nel 1353 questo percorse la penisola alla testa di un piccolo esercito, alternando successi militari a una notevole abilità diplomatica, che gli permisero di vincere le resistenze di gran parte delle città dell’Italia centrale, dove fece poi edificare un gran numero di cittadelle fortificate tra Lazio, Umbra, Marche e Romagna, destinate a ospitare una guarnigione che controllasse dall’alto i cittadini come sudditi. Non tutte le città accolsero con sospetto il legato papale. Assisi ad esempio lo accolse come un liberatore e in cambio questi ne fece restaurare le porte delle mura abbattute nel 1322 nella guerra contro Perugia, oltre a riedificare nel 1367 la rocca in vetta al colle che gli assisani avevano abbattuto nel 1198 alla morte dell’imperatore Enrico VI. Sopra l’ingresso della Rocca e sulle porte delle mura si vedono gli stemmi di Urbano V, le chiavi incrociate della Chiesa, del cardinale Albanese, di Egidio Albornoz e della famiglia Boncompagni: blasoni danneggiati nei moti rivoluzionari del 1848.
Sentendosi oramai prossimo alla morte – lo coglierà nei dintorni di Viterbo il 13 agosto 1367 – nel suo ultimo testamento Egidio de Albornoz lasciò scritto di voler essere sepolto ad Assisi accanto alla tomba di san Francesco. I suoi esecutori testamentari acquisteranno la cappella di Santa Caterina e la faranno decorare con dipinti ritraenti storie della vita della santa. Nelle Vite del Vasari questi affreschi sono rammentati sotto il nome di Buonamico Buffamacco, il pittore burlone protagonista di alcune novelle di Boccaccio, ma si tratta in realtà dell’opera di un pittore bolognese, come dimostrò Francesco Filippini scoprendo nel 1911 nel Collegio di Spagna di Bologna un registro di spese con i mandati di pagamento ad Andrea de Bartoli nell’anno 1368, per complessivi 450 fiorini d’oro.
In realtà questa di Assisi fu una sistemazione provvisoria del cadavere del cardinale, che aveva stabilito di essere riportato in Spagna, nella cattedrale di Toledo della quale era stato arcivescovo e dove si vede ancora la cappella che gli fu dedicata. Ad Assisi con la traslazione del cadavere fu distrutta la sua tomba, ma se ne vedono ancora i ritratti dipinti da Andrea de Bartoli all’ingresso della cappella, come riferì Ludovico da Pietralunga negli anni ’70 del Cinquecento: “Ma nello entrare de ditta cappella a man sinistra, alquanto in alto, nel primo quadro di sotto, gli è il ritratto overo effigia del cardinale Egidio, quale sta in genochione avanti San Francesco, con dui altri santi appresso … Alla man dextra, alquanto più basso, gli è il cardinale in genochione, sopra un tapeto et con le mani gionte, con il guardo dritto; et il pontefice Clemente gli dà la beneditione con la dextra, et nella sinistra tiene un libro aperto nel mezzo; nella prima carta in capo gli sonno lettere che dicano cusì: Esto princeps mundi frater noster”.
Egidio de Albornoz non fu un cardinale qualsiasi, ma è ricordato nei libri di storia come il rifondatore dello Stato della Chiesa iniziato da Innocenzo III nel 1198. La tomba di Assisi non è una tomba qualsiasi, ma un mausoleo eretto in onore di un condottiero che aveva riportato la Chiesa in Italia dopo il lungo esilio avignonese, e un doveroso omaggio a un santo che il prelato spagnolo aveva scelto a proprio patrono.