Nel 1786 il poeta tedesco Wolfang Goethe, in viaggio per Roma, abbandonò a metà percorso la carrozza postale che lo stava portando da Perugia a Foligno, perché “dal Palladio e dal Volkmann ero venuto a sapere che li si trova, ancora perfettamente conservato, uno splendido Tempio di Minerva, costruito al tempo di Augusto”. Giunto ad Assisi, Goethe passò senza fermarsi davanti a quel che gli sembrò una sorta di tempio babilonico contenente la tomba di san Francesco, e “infine giungemmo all’autentica città antica, ed ebbi davanti agli occhi quella lodevole opera, il primo completo monumento dei tempi antichi che io avessi visto. Un tempio modesto, come conveniva ad una città così piccola, eppure così perfetto, così ben concepito, che potrebbe risplendere degnamente ovunque”.
La chiesa di San Francesco con i suoi capolavori dell’arte medievale torneranno di moda una generazione più tardi con l’inizio della stagione romantica. La persona di Francesco sarà riscoperta nella sua modernità con la biografia del pastore francese Paul Sabatier scritta nel 1893. Al contrario l’importanza e l’interesse del tempio di Minerva è sotto gli occhi di tutti a partire dallo scorcio del XIII secolo, quando Giotto e compagni dipinsero le storie della vita di san Francesco nella navata della chiesa superiore, figurando il tempio nel primo episodio con l’omaggio del semplice ambientato nella piazza del Comune di Assisi.
Il cosiddetto “tempio di Minerva” è un edificio templare prostilo in antis, preceduto da un pronao con sei colonne in stile corinzio e provvisto di una cella un tempo più corta, che fu prolungata quando il tempio antico, divenuto nel 1212 sede del Comune, fu trasformato in chiesa cristiana al tempo di Paolo III Farnese. Il fregio della trabeazione era decorato da una lunga iscrizione apparentemente in bronzo dorato, composta da lettere capitali che si sono potute leggere grazie ai fori di fissaggio che le sostenevano e che ci hanno restituito i nomi dei costruttori dell’edificio: “cnt Caesii cn f Tiro et Priscus IIII vir qumq sua pecunia fecerunt”. Che tradotto significa: “Gneo Tito Cesio figlio di Tirone e Prisco quadrumviri quinquennali a loro spese innalzarono”. Nei tempi antichi i quadrumviri era una magistratura composta da quattro membri eletti per la durata di un quinquennio nei municipi sottoposti all’imperio di Roma, con compiti giurisdizionali e di polizia urbana. Cn. Cesio Tirone e T. Cesio Prisco erano verosimilmente due fratelli legati alla famiglia Cesia, della quale si hanno varie notizie in Etruria e nell’area appenninica centrale.
Il tempio dominava un tempo la terrazza principale dell’Assisi romana, dove confluivano le strade provenienti dalle porte principali della cerchia antica. Non sappiamo se era questa la sede del foro, come farebbero pensare le botteghe alle due estremità, o se si trattava di un santuario sul genere del santuario ellenistico di Palestrina, dedicato al culto delle acque lustrali che sgorgavano da una sorgente all’interno di una piccola grotta. Non è nemmeno chiara la dedicazione originaria, se a Minerva come farebbe pensare una statua frammentaria della divinità, o ai due Dioscuri le cui statue erano poste sopra un tetrastilo al centro della piazza antistante. Non si sa neppure cosa dovesse contenere il timpano soprastante, se un clipeo o una corona ornata da nastri con i nomi dei committenti, oppure l’immagine della divinità dedicataria. La costruzione dell’edificio risale a un’epoca che va dal terzo quarto del I secolo a.C. alla metà del I secolo d.C., al tempo del principato augusteo.
Il tempio era collegato da due scalee alla piazza originaria, che fu ritrovata in scavi condotti da Charles Victor Famin tra il 1839 e il 1841. Il sotterraneo è accessibile dalla cripta di una chiesa intitolata a San Nicola e è attualmente adibito a sede del Lapidario comunale.