Nel 1969 fu Carlo Volpe a notare che le malconce storie apocalittiche dipinte nel claristorio del transetto nord non avevano nulla da spartire con la restante decorazione per la quale Giorgio Vasari aveva fatto il nome di Cimabue. Carlo Volpe vi ravvisò una maniera ultragotica e parlò di un “Maestro oltremontano”, verosimilmente inglese a confronto con un paliotto d’altare in Westminster Abbey a Londra. Fu allora che questo ‘Maestro oltremontano’ diventò uno dei concorrenti nella corsa che oppose la “maniera greca” al Gotico d’oltralpe, tra Cimabue e Giovanni Pisano prima che Giotto prendesse il grido. Eppure nessuno si pose il problema se il pittore era un uomo di parte guelfa o ghibellina, quando sembrava che il mondo intero non pensasse ad altro che a gridare viva il papa viva l’imperatore. Così, quando nel 1981 uno studioso tedesco, Joachim Poeschke, notò la presenza d’innumerevoli gigli nelle cornici della volta e li identificò con lo stemma di papa Clemente IV, gli storici dell’arte fecero finta di nulla, salvo parlare di un banale motivo ornamentale diffuso in ambiente cistercense o di profonde differenze cromatiche rispetto alla divisa di Clemente – in questi dipinti di Assisi nessun colore è definito, tutto è stato alterato dallo scorrere dei secoli – per non spostare di un centimetro la cronologia alla metà degli anni ’70 del Duecento fondata su discusse pretese stilistiche.
E ve lo voglio dì che so’ stato io il solo a dire guardate che ha ragione Poeschke, questi gigli sono legati a Clemente IV, o altrimenti sono il giglio di Francia che compare nello stemma di re Carlo d’Angiò che dei guelfi era stato il campione. Solo che Poeschke si era limitato a notare questa presenza anomala senza trarne alcuna conclusione, mentre nel 1995 io dissi altro, e cioè che Clemente IV, al secolo Guy Foucois, nato a Saint-Gilles-sur-Rhone in Provenza, consigliere di Luigi IX il Santo re di Francia, era salito al trono pontificio dopo Urbano IV, un altro francese che nutriva un odio viscerale verso Manfredi, figlio illegittimo dell’imperatore Federico II di Svevia e re di Sicilia, e per toglierselo di torno fece di tutto per portare in Italia Carlo d’Angiò, fratello minore di re Luigi che avrebbe preferito farsi prete piuttosto che combattere. Non gli riuscì perché Urbano morì nel 1264 a Deruta, ma ci riuscì Clemente IV brigando dalla sua sede perugina. Carlo passò le Alpi nel 1265, nel mese di maggio era a Roma e il 26 febbraio 1266 affrontò in battaglia Manfredi a Benevento alla testa del suo esercito e lo sconfisse.
Per una singolare coincidenza, esattamente un mese dopo la battaglia di Benevento, il 28 marzo 1266 Clemente IV prorogò di un triennio il privilegio che Innocenzo IV aveva concesso nel 1253 ai frati di Assisi, di poter spendere le elemosine raccolte agli altari per completarne la costruzione e decorarne le pareti. Il privilegio aveva una durata venticinquennale e sarebbe scaduto nel 1278: c’era bisogno di una proroga triennale dodici anni prima la sua scadenza naturale? C’è una ragione privata indicata dal cronista Salimbene de Adam: Clemente IV nutriva una tale devozione verso san Francesco da non voler ricevere l’investitura al papato prima di averne visitato la tomba in Assisi. E c’è una ragione pubblica indicata dalla storia, perché bisognava ringraziare il Signore per la sconfitta di re Manfredi a Benevento: un grande, enorme ex voto. Fino ad allora l’aula papale di San Francesco aveva mantenuto le pareti spoglie d’immagini, salvo le vetrate colorate alle finestre, seguendo una norma imposta da Bonaventura nel capitolo di Narbona del 1260, che limitava la decorazione delle chiese all’uso di vetrate figurate nella tribuna absidale. Prima di diventare papa Clemente IV si era sposato e aveva avuto figli. Rimasto vedovo si era fatto prete fino a diventare vescovo di Narbona, ma non aveva le stesse idee dei frati circa l’aspetto delle loro chiese, e fu così che trasformò la sua cattedrale romanica in un edificio gotico, prendendo a modello le cattedrali dell’Ile de France col far dipingere le pareti a finti pilastri e finte statue. Lo stesso volle fare anche ad Assisi per festeggiare il tracollo del cartello ghibellino a Benevento e l’ascesa della parte guelfa, ma la morte che lo ghermì nel 1268 a Viterbo gl’impedì di andare oltre il transetto nord.
Biondo era e bello e di gentile aspetto, le ossa sue or le bagna la pioggia e move il vento. Prima che Dante mettesse queste parole in bocca a Manfredi, Clemente IV lo irrise con pitture infamanti alle pareti di una chiesa umbra. E fu l’inizio di questi affreschi di Assisi.