Quando, l’11 agosto 1253, Chiara finì i suoi giorni in San Damiano, le sue sorelle ne scortarono il corpo presso la chiesa di San Giorgio alle porte di Assisi, dove per qualche tempo era stato deposto anche il corpo di san Francesco, e cercarono di entrare in possesso di quel che era stato un ospedale con accanto una scuola per potervi costruire un grande santuario in onore di una donna che già in vita era stata circondata da una fama di santità. Alla gloria degli altari si arriverà due anni più tardi, ma per l’acquisto di San Giorgio e la fondazione della nuova chiesa si dovrà attendere fino al 1257, quando papa Alessando IV dirà ai canonici della cattedrale che “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. E sarà costruita Santa Chiara, sorella minore della chiesa di San Francesco sul limite opposto del colle di Assisi, due edifici gemelli che hanno donato alla città il placido aspetto di un gatto che si stiri al tepore del sole. I lavori saranno realizzati in tutta fretta e dal 3 ottobre 1260 le spoglie di Chiara riposano in una cripta sotto l’altare maggiore della nuova chiesa.
Insieme alle reliquie della badessa fondatrice, le suore, da Damianite divenute Clarisse, si portarono appresso il Crocifisso trionfante un tempo in San Damiano, che era stato l’origine della conversione di Francesco e davanti al quale Chiara aveva pregato per tutta l’esistenza, ma non lo esposero sopra l’altare della nuova chiesa, bensì all’interno del loro coro monastico, dove si trova tutt’ora. Così, quando il 6 settembre 1265 Clemente IV consacrò la chiesa e gli altari, sopra l’altare maggiore già esisteva un nuovo gigantesco Crocifisso che seguiva l’iconografia rinnovata del Christus Patiens, il Cristo che in punto di morte si leva con un ultimo sforzo dal legno della croce e descrive una curva dolorosa, come per gridare Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato.
Questa nuova immagine del Cristo morto era stata introdotta ad Assisi da fra Elia commissionando a Giunta Pisano un Crocifisso per la chiesa papale di San Francesco con il proprio ritratto ai piedi del Cristo. Lo stesso fece la badessa Benedetta, che commissionò per Santa Chiara un Crocifisso Patiens e si fece ritrarre alla maniera di fra Elia nella tabella inferiore della croce. Nel Crocifisso in Santa Chiara il pittore dipinse tre personaggi in adorazione: al centro san Francesco che abbraccia teneramente i piedi di Cristo e ne bacia le ferite sanguinanti, a destra santa Chiara identificata dal suo nome, a sinistra la badessa Benedetta come spiega una lunga scritta che ne giustifica la presenza: “Domina Benedicta post S. Clara prima abbatissa me fecit fieri”.
Semmai la cosa più curiosa è che nella croce in San Francesco il pittore si era limitato a spiegare come fra Elia avesse fatto dipingere quell’immagine per chiedere misericordia al Signore, mentre in Santa Chiara nel dipingere un ritratto della badessa Benedetta il pittore non si era limitato a ricordarla come la committente dell’immagine sacra, ma per rafforzare visivamente il concetto le aveva dipinto un sacchetto pieno di monete pendente dalle mani giunte in preghiera: usualmente nei dipinti medievali un sacchetto pieno di monete figura in mano ad allegorie dell’Avarizia, dall’aspetto di una donna anziana vestita di scuro, non propriamente un complimento.
Eppure questa sorta di pittura infamante è il prototipo di un’invenzione iconografica destinata a un notevole successo, e che trae origine da un brano della Legenda Sanctae Clarae dedicato al suo amore ardente per il Crocifisso: “Le è familiare il pianto della passione del Signore: a lei che, ora, attinge dalle sacre ferite sentimenti di amara mirra, ora ne sugge più gaudiosa dolcezza. Il pianto di Cristo sofferente la rende come ebbra e la memoria continuamente le ripresenta Colui che l’amore le ha impresso profondamente nel cuore. Insegna alle novizie a piangere Cristo crocifisso e ciò che va insegnando con le parole, lo esemplifica insieme coi fatti: poiché spesso, mentre le esortava singolarmente a questo, il suo pianto preveniva le parole”. Forse il pittore poteva anche risparmiarsi il sacchetto con i soldi, ma che l’immagine sia efficace nessuno lo potrà mettere in dubbio.