C’era una volta e oggi c’è ancora. Nel 1985 Francesco Santucci licenziò un suo libro sui castelli di Tordibetto e di Beviglie, dedicando “quest’umile fatica ai compaesani d’un tempo”. Tordibetto e Beviglie, due castelli della fascia collinare che frena i venti di tramontana al loro ingresso in Valle Umbra, dove il fiume Chiascio si libera a fatica dalla stretta dei monti che danno su Gubbio, e in vista del colle di Assisi è raggiunto dalle acque del torrente Tescio. Per dirla con i versi di un poeta toscano: “intra Tupino e l’acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo fertile costa d’alto monte pende”: è questa qui! I castelli di Tordibetto e di Beviglie si trovarono per caso in prima fila quando da “questa costa, là dov’ella frange” sorse “al mondo un sole”. Fu allora che nacque ad Assisi un sole, e prese il nome di Francesco. Ci può importare qualcosa? Perché no! Nel suo libro Santucci dedicò un capitolo a frate Elia da Beviglie, il vicario di Francesco, l’attendente di Gregorio IX, compagno di merende di Federico II di Svevia, che costruì la chiesa sepolcrale di Assisi prima di litigare con i frati perché si era montato la testa: mangiava in oro e cavalcava con l’imperatore. Ma non si chiamava frate Elia da Cortona? Sì, proprio lui. Solo che a Cortona frate Elia chiuse gli occhi alla vita, come sant’Antonio li aveva chiusi a Padova e li aveva aperti a Lisbona in Portogallo. Come Napoleone morì in esilio nell’isola di Sant’Elena, ma in realtà era nato ad Ajaccio in Corsica. Così frate Elia – scrisse nel 1985 Francesco Santucci – fu chiamato “de Beviglio” in un ritratto di san Francesco circondato dai suoi frati un tempo visibile sopra l’ingresso del refettorio di Assisi. Lo stesso Santucci ci dà notizie di un fra Andrea di Egidio Magicchia di Assisi – in realtà vescovo della città serafica tra il 1474 e il 1475 – che ancora giovane postulante nel convento di San Francesco si recò in processione con altri frati “ad quoddan castrum quod vocatur Bevilgle, unde natus fuit Elyas, ad expellendum demones”. Che frate Elia, il tanto vituperato frate Elia, fosse nato a Beviglie non giustifica certo la presenza di diavoli tra le mura del suo castello natale, ma pur sempre fu l’occasione di quel libro a farmi scrivere poche pagine sulle immagini nelle chiese di Beviglie. Visitai allora la minuscola cappella di Santa Maria all’interno del castello e vi trovai le immagini che ci sono ancora: sulla parete di testa una Madonna in trono con un bimbo nudo in grembo seguita da due angeli; alla sua destra un Crocifisso e alla sinistra un angelo dipinto sopra un ritratto di san Francesco. Sulla parete accanto un san Sebastiano sotto una minuscola immagine della Vergine Maria. Su un’altra parete una Madonna col Bambino e un santo vestito da monaco cistercense con un cappello e un bordone da pellegrino in mano. Nell’ultima parete una storia confusa, dove due frati – uno col nimbo è un santo – compaiono in ginocchio mentre pregano davanti a un altare, seguiti da una figurea femminile che potrebbe essere una santa o meglio ancora Maria. Per fortuna ho ancora alcune foto e da quel che vedo sono dipinti dovuti a differenti pittori, più o meno risalenti alla prima metà del XVI secolo. Da quel che scrissi allora la sola immagine per la quale si può dire qualcosa è la Madonna posta al centro dell’altare, sotto la quale si legge la data 1525 e il nome del donatore. Allora vi lessi “Questa la facta fare Bastiano de Mattivolo MCCCCCXXV”. Oggi vi leggo “Questa la fcta fare Bastiiano d S Mattivoli”, seguito dall’anno 1525, ma in realtà il nome finale non riesco proprio a leggerlo.
Ancora più confusa è la cultura figurativa del pittore, ma posso confermare quanto scrissi allora. E cioè che se non vi si leggesse la data 1525, lo si potrebbe scambiare per un dipinto di un secolo più antico, perché ad Assisi nel primo quarto del Cinquecento dominava un attardato peruginismo che faceva capo a Tiberio di Assisi, tetragono nel respingere la “maniera moderna” degli anni romani di Michelangelo e Raffaello. E invece “negli stessi anni il nostro pittorello sembra ignaro di tali avvenimenti, e continua a servirsi di cartoni antidiluviani, in accordo con le esigenze di una committenza minore. Non è difficile risalire all’identità anagrafica. L’autore del nostro dipinto è certamente quel Francesco Tartaglia che nel 1527 firma un modestissimo affresco nel coro monastico in S. Chiara, ed al quale spettano alcune mediocri opere ad Assisi e nel contado”.