Giorgio Vasari, pittore e scrittore aretino del XVI secolo, nello scrivere la biografia del pittore perugino Bernardino Pintoricchio in un suo libro dedicato alle vite dei pittori e scultori italiani da Cimabue fino ai suoi giorni, aggiunse in calce una rapida notizia intorno a un pittore folignate del XV secolo, Niccolò di Liberatore, che chiamò con il soprannome di Niccolò Alunno destinato a imporsi in seguito; ne elencò le opere visibili ad Assisi e Foligno e ne indicò pregi e difetti.
“Fu ne’ medesimi tempi eccellente pittore nella città di Fuligno Niccolò Alunno; perché non si costumando molto di colorire a olio innanzi a Pietro Perugino, molti furono tenuti valenti uomini, che poi non riuscirono. Niccolò, dunque, sodisfece assai nelle opere sue, perché sebbene non lavorò se non a tempera, perché faceva alle sue figure teste ritratte dal naturale e che parevano vive, piacque assai la sua maniera. In Sant’Agostino di Fuligno è di sua mano, in una tavola, una Natività di Cristo, ed una predella di figure piccole. In Ascesi fece un gonfalone che si porta in processione: nel duomo, la tavola dell’altare maggiore; ed in San Francesco, un’altra tavola. Ma la miglior pittura che mai lavorasse Niccolò, fu una cappella nel duomo; dove, fra l’altre cose, vi è una Pietà e due Angeli che, tenendo due torce, piangono tanto vivamente, che io giudico che ogni altro pittore, quanto si voglia eccellente, arebbe potuto far poco meglio. A Santa Maria degli Angeli, in detto luogo, dipinse la facciata e molte altre opere; delle quali non accade far menzione, bastando aver tocche le migliori”.
Prima che la “miglior pittura” di Nicolò Alunno andasse perduta, il dipinto nel “duomo” di Assisi fu rammentato da Ludovico da Pietralunga, un frate del convento di Assisi che si sentì in dovere di precisare come la chiesa che lo conservava non era la cattedrale di San Rufino ma la primitiva cattedrale di Santa Maria Maggiore: “Ancora in Vescovato, ne la chiesa ditta Santa Maria de Augusto, cioè la Asu[n]ta, una pietà in una cappelletta con doi angioli che tengano le torce accese in mano, piangano tanto bene che paiono vivi, et quel piangere mai non ho visto finger meglio che a custui”.
Negli anni ’50 del Novecento le pareti di Santa Maria Maggiore furono integralmente decorticate ma non fu trovata traccia della cappella affrescata dall’Alunno. Furono invece riscoperte diverse immagini a buon fresco sui due lati del muro che separa la navata centrale dalla navata settentrionale, e tra queste la figura di un giovane imberbe, vestito con una dalmatica di tessuto rosso portata sopra un càmice bianco, con un libro nella mano sinistra e con la mano destra che sembrava tener qualcosa mentre in realtà non stringeva nulla. Questo santo diacono potrebbe rappresentare santo Stefano: santo particolarmente venerato ad Assisi tanto che gli venne dedicata una delle più antiche fraternite della città. Nella cornice inferiore si legge una scritta frammentaria con il nome del donatore – Bartolomeo di Angelo – che fece eseguire il dipinto nel 1476.
Su questo dipinto sono tornato più volte a partire dal 1982, quando vi ravvisai un pittore perugino, in un primo tempo facendo il nome di Fiorenzo di Lorenzo e successivamente di Bartolomeo Caporali. Se non fosse che in seguito al restauro eseguito nel 2008 da Emanuela Elisei, mi sono dovuto ricredere che si tratti piuttosto di un’opera di Niccolò Alunno; il quale in più occasioni lavorò insieme a Bartolomeo Caporali, ne condivise una prima formazione sotto Benozzo Gozzoli a Montefalco, e successivamente una radicale conversione alla forme più plastiche, affidate a una “linea funzionale”, che troviamo sia nell’attività marchigiana del veneziano Carlo Crivelli che nella produzione fiorentina di Andrea del Verrocchio.
È notevole come la mano destra che stringe il nulla tra pollice e indice del santo diacono sia del tutto identica, salvo la posizione speculare, alla mano che porta una pisside di un Re Mago presente in una Adorazione dei Magi giovanile di Pietro Perugino conservata presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, a riprova di quanto fossero stretti in quel tempo i legami tra pittori folignati e pittori perugini.