Per la Pentecoste 1260 Bonaventura da Bagnoregio riunì a Narbona il capitolo generale dei frati Minori. Tra vari argomenti fu discusso l’aspetto delle chiese costruite per i frati, che per lunghezza, larghezza e altezza dovevano rispettare le consuetudini di ogni luogo. Per rispetto al voto di povertà si vietò l’uso di volte in muratura, salvo la crociera sopra l’altare maggiore, e di qualsivoglia dipinto, scultura, vetrata o colonna di aspetto eccessivo; il solo ornamento consentito erano i finestroni figurati del coro, che potevano ritrarre la Crocifissione e i santi Francesco e Antonio. Nonostante i proclami contrari più volte ripetuti, “in medio ecclesiae” di tutte le chiese dei frati era esposto un Crocifisso, come ordinava il IV Concilio Lateranense (1215), così come era comune la presenza di una icona con la figura del santo fondatore. Col tempo diventò consuetudine esporre sopra gli altari icone mariane o di altri santi, commissionate da compagnie del Terz’ordine francescano o da facoltosi prelati o laici “pro remedio animae”. Ma fu soltanto dopo il 1476, quando Sisto IV rese di precetto la festa dell’Immacolata Concezione, che l’altare principale nelle chiese dei frati accoglierà monumentali immagini della Vergine Maria. Nel 1516 Giovanni di Pietro detto lo Spagna dipinse per la compagnia del Terz’Ordine in San Francesco ad Assisi una pala d’altare per la cappella di Santa Caterina nel nartece d’ingresso. Più o meno negli stessi anni lo stesso pittore – un allievo di Pietro Perugino poi passato sotto l’influenza di Raffaello – dipingerà una seconda pala d’altare per la chiesa di San Damiano, rimossa e dispersa nel 1792, più una terza immagine mariana per l’altare maggiore in Santa Maria della Rocchicciola a Rocca Sant’Angelo.
È questa una finta pala d’altare, cioè fu dipinta a buon fresco sopra una porzione isolata di muro al centro del presbiterio, contro il quale si addossava l’altare che chiudeva la vista di una precedente decorazione eseguita a buon fresco sulle pareti della tribuna absidale. Lo Spagna vi dipinse una Madonna in trono con il figlio in grembo tra i santi Francesco e Antonio di Padova, che corrispondeva al soggetto richiesto da Sisto IV al Perugino per la cappella dell’Immacolata nel coro di San Pietro in Vaticano. Anche la precedente decorazione della tribuna era dedicata alla vita di Maria, ma la scena centrale ritraeva la Fuga in Egitto e voleva alludere alla situazione in cui era venuto a trovarsi il ministro generale Michele da Cesena nel capitolo di Perugia per la Pentecoste 1322, quando esplose la disputa con Giovanni XXII sulla povertà di Cristo e degli apostoli. Ne seguì la dispersione degli spirituali “de opinione”, tra chi si rifugiò presso la corte imperiale di Ludovico il Bavaro e chi probabilmente si nascose nel luogo della Rocchicciola o altrove.
Non si sa chi abbia commissionato la finta pala d’altare dello Spagna, ma sulla parete a cornu Evangelii c’è un’immagine di San Michele Arcangelo vestito di un’armatura un tempo metallica, che solleva con la sinistra una bilancia con nei piatti una femmina e un maschio entrambi nudi, e stringe con la destra una lancia per colpire un demonio che tira a sé con un gancio il piatto con la figura femminile. Nella predella sottostante sta scritto “… Angilu de Gristofano de Canova / … fare questa figura A. D. M. DXXVIII”.
Questo Angelo di Cristoforo doveva essere devoto al santo del quale portava il nome. È probabile che fosse originario del castello che prendeva nome dall’arcangelo Michele, e non è escluso che avesse contribuito al crownfunding che aveva sostenuto il costo dell’immagine dell’altare principale, che ha le caratteristiche di un’Immacolata Concezione come la si raffigurava prima che con Sisto V (1585-1590) s’imponesse un’iconografia ispirata alle litanie mariane. Anni fa, nel 1984, proposi di ravvisarvi un’opera giovanile di Dono Doni, per la ragione che questo pittore di Assisi era stato allievo dello Spagna, come racconta fra Ludovico da Pietralunga in una sua descrizione delle chiese di città. La figura del san Michele ha un volto ovale a ovo sodo come i personaggi che si vedono nei dipinti di Giovanni di Pietro, ma ha un aspetto meno naturalistico delle figure dipinte dallo Spagna nel catino absidale della collegiata di San Giacomo di Spoleto, che risalgono anch’esse al 1528, anno di morte del pittore. Si potrebbe ipotizzare che Dono Doni nel 1528 fosse ancora nella bottega del maestro, che alla sua morte tornasse ad Assisi dove nel 1528 eseguì lavori per la confraternita dei Santi Giacomo e Antonio e forse anche nella chiesa della Rocchicciola. Di seguito tornò a San Giacomo di Spoleto, dove nel 1530 dipinse una cappella in compagnia di Cecco di Bernardino, pittore egualmente di Assisi. Potrebbe essere sì potrebbe essere no: alla morte del Pintoricchio (1513) e del Perugino (1523), ma anche prima, lo Spagna fu il più importante pittore umbro del primo Cinquecento e numerosi allievi passarono nella sua bottega.