Un viaggiatore che a Santa Maria degli Angeli segua il percorso di visita che dal santuario rinascimentale conduce ai resti del convento antico, passato il giardinetto delle rose senza spine entrerà in una cappellina che da queste rose prende il nome. In realtà si tratta di due ambienti distinti: la cella di san Francesco, cioè il luogo dove Francesco era solito riposare, e una piccola chiesa costruita a ridosso della prima. Entrambi gli ambienti – cella e chiesa – sono decorati da affreschi di Tiberio Diotallevi, un pittore originario di Assisi che fu stabilmente utilizzato dalla famiglia francescana in vari conventi dell’ordine. Tiberio vi dipinse due distinti soggetti in anni differenti, ma per entrambi fu pagato dallo stesso benefattore. In questo caso siamo fortunati perché per entrambi i casi abbiano notizie dalla documentazione ritrovata presso l’archivio di Assisi da p. Cesare Cenci, che la pubblicò in un suo studio del 1975.
Per prima fu dipinta la cappella che è nota sotto il titolo di “carcere di san Francesco”, perché prese il posto della capanna del santo accanto al roveto fiorito miracolosamente di rose. Sulla parete dietro l’altare Tiberio raffigurò san Francesco in mezzo ai suoi primi compagni, ciascuno identificato dal nome, più i santi dell’ordine sulle pareti laterali. Francesco ha in mano un libro e la croce, come pure gran parte dei frati hanno un libro in mano e idem i santi, a dimostrazione di come l’ordine si fosse trasformato da movimento quasi eremitico a religione di frati intellettuali. Alle pareti della cappella si legge la data “MDVI. DIE PRIMA AUGUSTI”, ma soltanto nel novembre 1509 Tiberio dichiarò al procuratore del convento di avere ottenuto 35 fiorini in saldo dei lavori da un certo Angelo Bigarelli di Assisi. Il quale, nel suo testamento dell’aprile 1504, aveva espresso il desiderio di essere sepolto a Santa Maria degli Angeli vestito del saio francescano, e aveva destinato 50 fiorini per la decorazione di una cappella e la costruzione di una foresteria, per liberare il chiostro dei frati dai deschi e dalle immondizie lasciatevi dai forestieri. Si ha ragione di credere che il procuratore del convento cercasse di ottenere in anticipo la disponibilità dei denari promessi, ben prima che la vita di Angelo Bigarelli giungesse a compimento, perché altrimenti quest’ultimo non avrebbe allentato i cordoni della borsa per far avere a Tiberio i 35 fiorini in saldo dei dipinti ultimati tre anni addietro.
Pochi anni dopo si ripetè la stessa situazione. Era stata costruita una cappella più ampia a ridosso del carcere di san Francesco e Tiberio l’aveva decorata con episodi dell’indulgenza del Perdono, che trovava giustificazione nella miracolosa fioritura del roveto posto accanto all’ingresso. Sopra la porta Tiberio dipinse una tabella con il suo nome e la data 1516. Angelo Bigarelli era ancora in vita e sebbene non fosse uno stinco di santo nessuno l’aveva ancora ammazzato. Nel 1495 era stato coinvolto nei disordini tra la “parte de sopra” e la “parte de sotto”, tanto da finire in prigione nella rocca di Assisi; ma questo non gli impedì di avere una intensa vita religiosa, tanto da essere eletto nel 1489 camerario della Società di Maria Vergine e ricoprire incarichi di rilievo tra i penitenti laici del Terz’ordine. Così il 21 ottobre 1516 fece di nuovo testamento e lasciò un gran numero di legati a conventi dell’Osservanza francescana di mezza regione: da San Damiano alle Carceri di Assisi, da San Girolamo di Gubbio all’Annunziata di Norcia, a Monteripido di Perugia, allo Speco di Narni, a San Fortunato di Montefalco; ma soprattutto fu generoso con il convento di Santa Maria degli Angeli, dove anche questa volta chiese di essere sepolto vestito del saio francescano e lasciò ai frati della Porziuncola 200 fiorini marchigiani in servizio di una nuova chiesa. Inoltre condonò a questi ultimi un credito di 300 fiorini e lasciò loro quanto restava dei suoi beni per ultimare una chiesa già iniziata. Il testamento fu dettato in tutta fretta alla presenza del guardiano del convento e in assenza di un notaio.
Cosa significa? Semplicemente che il testatore era già morto e il frate che ne ascoltò la confessione dettò ad alta voce le sue ultime volontà. E fu così che furono pagati i lavori di costruzione della chiesetta delle Rose, dipinti di Tiberio d’Assisi compresi. Si faceva così allora: cosa ci vogliamo fare?