16 Gennaio 2021

Oltre la soglia

Francesca Tuscano
Oltre la soglia

“Fuori Porta Perlici” non c’erano lampioni, e nei pomeriggi d’inverno si tornava a casa con la pila, per non inciampare. Un mondo di ombre, la sensazione che alle spalle ti seguisse qualcuno, i rumori e la loro eco, i passi sempre più rapidi fino a una casa che di notte diventava più lontana. Qualche volta la corsa, l’arrivo senza fiato davanti al portone, la chiave in mano per precipitarsi al sicuro, lasciando fuori i fantasmi del buio. Quando c’era vento era anche peggio – le ombre si muovevano, tu faticavi a camminare, non potevi correre. Passare sotto l’arco di Porta Perlici era un’impresa titanica, se eri una bambina inappetente. Quando ero in compagnia del mio fratello maggiore, mi aggrappavo a lui. Il vento ti toglieva il fiato, ti respingeva verso il mondo degli umani, verso Piazza Nova. Di giorno, il vento faceva meno paura, certo, ma non era un ostacolo inferiore. Solo il Turrione, l’arco che sbocca a San Rufino, poteva competere con Porta Perlici come bocca feroce di vento. Una forza sovrannaturale presidiava quei passaggi. Ma il Turrione era una soglia interna al mondo degli umani, illuminata di notte, priva del pericolo non reale ma possibile (e perciò maggiormente terrorizzante) del varco di Porta Perlici. Fuori la Porta non c’era a chi chiedere aiuto. Un giorno, tornando da scuola con mio fratello più piccolo (del quale ero stata nominata nutrice da mia madre – andavamo entrambi alle Elementari del Convitto, la scuola più vicina), davanti all’arco di Porta Perlici vidi due ragazzi molto più grandi di noi. A me bambina apparivano addirittura adulti. Facevano gli sbruffoni, fermi all’ingresso della Porta, uno per lato. Ci canzonavano, e io, tenendo per mano mio fratello, non sapevo che fare. Se, passata la porta, avessero voluto farci del male, nessuno ci avrebbe difesi. Meglio rimanere tra i gentili e rumorosi umani di Piazza Nova. Restai ferma davanti all’arco a lungo, guardando con gli occhi abbassati quei due, mentre la paura aumentava, e con la paura la necessità di prendere una decisione. Infine, dissi a mio fratello di correre fino a casa. E così passammo l’arco più veloci dello stupore dei due bulli che certamente non avevano intenzione di farci nulla. Porta Perlici ci era stata maestra – la scelta è l’unica alternativa alla paura. “I partecipanti all’azione in Dostoevskij stanno sulla soglia (sulla soglia della vita e della morte, della menzogna e della verità, del raziocinio e della follia)” – quando lessi questa frase di Michail Bachtin, mi fu ancora più chiaro l’insegnamento di Porta Perlici – se non vuoi impazzire, devi varcare la soglia. E mi fu più chiaro anche il dolore (sì, più che un dispiacere fu un autentico dolore) che provai quando, all’ennesimo camion incastrato, si decise di allargare la Porta. Non potevo sopportare che la violassero, quella soglia. Era una cosa che mi apparteneva, come la cava abbandonata, più avanti, oltre il Casone, dove andavamo a giocare, e dove avevo confuso esotico ed esoterico, tra le rocce rosa e gli arbusti che tentavano di aggredirle – il luogo dei pirati senza mare. L’entrata di Agartha. Migliaia di anni dopo, Giacomo si sarebbe svegliato di soprassalto, dicendomi: “Mamma, stavo cadendo dal letto! Mi sono svegliato proprio prima di toccare il pavimento con la testa … Sai che stavo sognando? Che uscivo dalla pancia della mamma, e quella pancia era la tua … e dentro era tutto morbido e acquoso e c’erano le nuvole e gli arcobaleni … e poi ho sognato Agartha …”.

In questa esistenza creata dal caso, un filo imprevedibile e fortissimo lega le vite, e giustifica errori per abbracciare l’origine, a volte sotto forma di figlio.

Francesca Tuscano

Francesca Tuscano laureata in Russo, Italianistica e Lingua e Cultura Italiana. Ha scritto di letteratura, teatro, cinema e musica russi. Lavora come catalogatrice di fondi musicali, traduttrice dal russo, librettista.

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