20 Marzo 2021

Animali

Francesca Tuscano
Animali

Al Casone vivevano animali domestici e selvatici. Insetti e cani mi terrorizzavano. C., che abitava al primo piano, aveva un cocker bello e odioso. Non era aggressivo, ma in me avvertiva la paura, e perciò mi abbaiava contro con paura ricambiata. Un essere umano spaventato è un pericolo – credo che i cani ragionino così, non a torto. Doveva averlo capito anche lo spinone bianco che abitava vicino all’arco della Rocca, perché iniziava ad abbaiare non appena mi vedeva, aggrappata alle mani dei miei come un naufrago a un relitto. Mio padre non era riuscito a convincermi che i cani hanno paura di chi ha paura. A riconciliarmi con il mondo animale ci provò proprio C. (rassegnata al fatto che avrei sempre guardato al suo cane come a un mostro). Curava una colonia di gatti randagi, lungo la strada per Ponte Grande, e qualche volta mi portava con lei ad accudirli. Li avrei presi tutti con me, mi faceva pena pensare che vivessero all’aperto. Ma C. insisteva che stavano bene lì. E aveva ragione. Avevano da mangiare, da bere, un bosco nel quale rifugiarsi quando era freddo o caldo. Ed erano liberi. Non si facevano toccare, non dimostravano riconoscenza. Erano bellissimi. Di loro non si poteva avere paura. L’indifferenza che dimostravano verso gli umani ipnotizzava. La bellezza è questo – ignorare lo sguardo altrui. E alle loro spalle, dal bosco del Tescio, saliva il canto degli uccelli, che cambiava con le stagioni. Mio padre ci aveva insegnato a distinguere le voci di quel canto come gli strumenti in un’orchestra. A quel tempo andava a caccia. Una passione che mia madre tollerava a stento e che io odiavo. Gli uccelli erano come i gatti – belli, liberi. Non avevano bisogno dell’uomo. Era l’uomo che aveva bisogno di sentirli, di vederli, per capire il senso del tempo. E quando mio padre portava a casa quelle creature con gli occhi sbarrati, io le accarezzavo piangendo, chiedendogli perché le avesse uccise. Proprio lui, che ci insegnava a considerarle gli esseri più belli del mondo animale. L’acme della tragedia si raggiunse però quando tornò dalla caccia con uno scoiattolo. Era fierissimo (colpirlo non era stato facile). Mia madre lo guardò come fosse un maniaco omicida. Io iniziai a piangere così disperatamente, che mio padre prese quel mucchietto di peli, lo riportò nel bosco (a riposare in pace dove gli aveva tolto la pace) e chiuse i fucili in un armadio, giurando che non sarebbe mai più andato a caccia. Così fu. Da quel momento il suo interesse per gli animali fu basato solo sul rispetto. E la notte d’estate che un pipistrello entrò in casa, svolazzando impazzito sopra le nostre teste, aspettò che si fermasse, lo prese, ce lo fece accarezzare per farci capire che era un animaletto innocuo, e lo liberò. Allo stesso modo ci mostrò la bellezza delle bisce d’acqua, nel Tescio, e dei girini. Iniziavo a non aver più paura degli animali. Persino del nuovo cane del Casone (arrivato nella famiglia B.). I ragni, però, mi terrorizzavano ancora. Un pomeriggio d’estate, ne vidi uno sul petto. Urlai, e mia madre corse da me credendo di trovarmi in un bagno di sangue. Mi rimproverò con tutta la rabbia dell’inutile spavento che le avevo provocato. Non devi avere paura di pericoli che non esistono – mi disse – Si chiede aiuto solo quando è necessario. Moltissimi anni dopo, quando capì che stava morendo, mia madre accettò la fine sorridendo. Mi ricordai del ragno, e finsi di non piangere. Non esiste mostro che ci possa privare dell’umile fierezza di chi non teme la propria paura.

Francesca Tuscano

Francesca Tuscano laureata in Russo, Italianistica e Lingua e Cultura Italiana. Ha scritto di letteratura, teatro, cinema e musica russi. Lavora come catalogatrice di fondi musicali, traduttrice dal russo, librettista.

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