La vicenda di Muzio di ser Francesco di Assisi, capoparte ghibellino, forse appartenente a un ramo assisiate dei Brancaleoni da Piobbico e probabilmente miles di professione (ma, in alcune fonti, anche canonico di S. Rufino), si colloca nell’Italia del primo Trecento e delle città sempre più di frequente rette a signoria, divise tra Guelfi e Ghibellini; soprattutto, si colloca nei territori della Chiesa della ‘cattività avignonese’, col papa Giovanni XXII lontano (e straniero) deciso ad affermare il principio per cui il ribelle è, in quanto tale, eretico.
Nelle veci del papa, ma in effetti piuttosto per proprio tornaconto, il comune popolare perugino afferma in quest’epoca il predominio guelfo su un ampio numero di città del Ducato di Spoleto, spingendosi a controllare, sul confine orientale, le propaggini appenniniche e le vie di comunicazione verso la Marca Anconetana.
Nel 1319 Muzio capeggiò il colpo di mano attraverso il quale la fazione ghibellina rovesciò e scacciò la fazione guelfa al governo.
Assisi non era l’unica città del Ducato a mal tollerare il predominio perugino: anche a Spoleto e a Nocera le fazioni ghibelline si sollevarono, col sostegno di Muzio e degli assisiati e, con loro, di due potenti vicini, nemici di Perugia: Federico conte di Montefeltro, cui Muzio era lontanamente apparentato, e Guido Tarlati vescovo di Arezzo, nodi centro-italiani della rete ghibellina che comprendeva anche Lucca, i Visconti e gli Scaligeri.
Per sostenere le spese della guerra Muzio usò le decime raccolte nel Ducato, conservate presso il Convento di S. Francesco. Le uniche testimonianze a raccontare l’evento sono di parte avversa: i resoconti delle ostilità riferiti nel consiglio comunale perugino; le lettere infuocate con le quali il papa comminò l’interdetto sulla città; infine gli atti del processo cui Muzio fu sottoposto al termine della guerra. Processo per eresia, giacché Muzio non solo fu disobbediente ma empio e blasfemo, accusato di aver profanato, oltre al tesoro papale, persino la virtù delle monache e di aver praticato negromanzia e divinazione. Non è chiaro se le accuse fossero fondate: sembra anzi che il prelievo di denaro e sacri arredi si fosse configurato come prestito forzoso, per la restituzione del quale erano stati presi impegni formali, e in conseguenza di cui anche i minori furono accusati dal papa.
Contro gli eretici ribelli, in risposta alle numerose incursioni con cui avevano portato la guerra nel contado perugino, il papa indisse la crociata, procurando uomini e supporto all’esercito perugino condotto da Cante Gabrielli che, finalmente, giunse a stringere d’assedio Assisi (1320). Venne fissata una taglia, per sfuggire alla quale Muzio scappò nottetempo, rifugiandosi a Todi, poi ad Arezzo. Il processo, in contumacia, lo condannò nel 1326. Dal 1339, quando è a Fabriano, se ne perdono le tracce.