Marino Bigaroni, al secolo Luigi, tuderte, frate minore (ma tale – cioè minore – solo nelle intenzioni) era nato appena finita la Grande Guerra, nel 1919, per spegnersi ad Assisi nel 2016. Attraversò così tutto quello che conosciamo come modernità, per ben 97 anni, da osservatore attento e insieme dotato della fiducia nell’uomo tipica della sua vocazione.
Visse buona parte della sua vita ad Assisi, dove ogni tanto si poteva incontrare a passeggiare per il Corso, meditabondo e assorto, con le mani dietro la schiena come quel don Abbondio che spiegava ai suoi alunni del liceo, dove si sforzava di far loro entrare in testa Storia, Geografia e Letteratura italiana. Aveva carisma e curiosità, e nella vita culturale di Assisi è stato un punto di riferimento e un prolifico sostenitore dell’Accademia Properziana del Subasio e dei circoli culturali, con una fitta attività di pubblicista e studioso di san Francesco e santa Chiara. Forse, di questa sua attività, la parte più “curiosa” per il grande pubblico fu la collazione delle testimonianze d’archivio su alcuni rifugiati ebrei descritti nel libro Assisi Clandestina, in una polemica a distanza che stava investendo la memoria del confratello Rufino Niccacci.
I suoi alunni di liceo, scavezzacolli eredi di un ormai distante ’68, rammentano ancora con affetto e stima la sua disponibilità al confronto dialettico, e finanche allo scontro quando l’argomento e l’interlocutore parevano esigerlo e meritarlo. Né dimenticano come sapesse sopportare con cristiana rassegnazione gli scherzi, allora goliardici, ma che l’esasperata sensibilità contemporanea potrebbe ora far confinare con il bullismo. Fu un educatore attento e vivace, che sapeva appassionare e coinvolgere anche i suoi allievi, senza esitare a farli partecipare con fiducia alle sue iniziative di bibliotecario e convegnista, in ciò ricambiato da gratitudine e rispetto.
Abitava il convento annesso alla Chiesa Nuova, di cui è stato anche Padre Guardiano. “Abitava” non è un termine scelto a caso, perché di quel luogo è stato motore e agente di sviluppo, costituendo, da materiale sparso e disorganico, un’impressionante biblioteca monumentale, e adibendo un grande locale a sala convegni. I suoi concittadini o suoi alunni che decidevano di andare a fargli visita in quella “sua” biblioteca potevano essere sicuri di trovare la sua benevola accoglienza, ma non senza che, prima, padre Marino li squadrasse alla sua maniera, stringendo gli occhi e arricciando il naso (nonostante avesse da sempre gli occhiali) come a guardare più lontano della figura di fronte.