15 Maggio 2021

Mingozzo

Francesco Lampone
Mingozzo

Mingozzo è stato, nella prima metà del ‘900, una delle incarnazioni in Assisi di un tipo umano in via di irrimediabile scomparsa, eppure a lungo onnipresente nelle piccole comunità: libero come il vento, eternamente povero, popolarissimo, generoso, un po’ sciroccato e quindi fonte inesauribile di aneddoti veri o inventati.
Di cognome faceva Buono, e anche il nome Giuseppe ha rischiato di restare schiacciato dal soprannome Mingozzo. Ma chi, tra il popolo, non aveva allora un soprannome? Neppure della data di nascita resta memoria: forse intorno al 1880. Verso il 1898 era giunto ad Assisi da Spello, ancora giovane, portando con sé il niente che aveva e il suo forte accento spellano. Di ferventi idee socialiste, non a caso era stato preso come garzone alla bottega di fabbro di Artaserse Angeli (da lui semplificato in “Andesé”), in via Fontebella. Il pittore Maceo Angeli, figlio di Artaserse, ne ha lasciato un ricordo affettuoso e divertente nel suo libro “Sogni e ricordi” del 1976; ma già nel 1930 ne aveva dipinto un bel ritratto ad olio, che fu anche la sua prima vendita importante; e quando più tardi montò un presepe, nella bottega di fabbro rappresentò suo padre, ma con Mingozzo a fianco. Anche Piero Mirti ha contribuito a conservarne la memoria: “piccolo come un ragazzo, mingherlino e magrissimo, aveva una faccetta pelosa dominata da due occhi nerissimi e quasi fosforescenti, e due grosse mani che contrastavano con il resto del corpo”.
Ginevra Angeli, figlia di Maceo, ricorda come Mingozzo, famoso per serietà, avesse assunto in carico la gestione dei libretti di risparmio delle donne di Fontebella, provvedendo lui ai versamenti per loro conto e difendendo gelosamente i loro “segreti bancari” dall’indiscrezione paesana. Eppure amava il vino, Mingozzo, nelle tante (allora) osterie di Assisi in cui dava una mano per i lavori più umili. Maceo Angeli racconta di quando, al medico che gli diagnosticava la presenza di acqua nei polmoni, Mingozzo replicò: “L’ho ditto sempre che sei nu somaru! Ciavrò lu vino ne li pormoni, perché co’ l’acqua manco me ce lavo!”. Ma è lo stesso uomo – lo riporta Piero Mirti – che, in camicia rossa, porta la sua solidarietà e il povero omaggio di un cesto di more del Subasio alla famiglia di un operaio, morto schiacciato in una cava di pietra.
È ancora Mirti a restituirci l’immagine finale degli ultimi anni di Mingozzo, nel secondo dopoguerra assisano: “Mangiava una volta al giorno alla mensa dei poveri e la sera cenava, avendo sempre con sé una grande pagnotta di pane, negli orti delle suore che incontrava scendendo verso via Fontebella dove abitava. Sosteneva che quei frutti erano di tutti, perché i poveri non sono da meno degli uccelli. Se potevano beccarli loro poteva farlo anche lui, perché come gli uccelli non aveva niente ed era libero”.

Maceo Angeli, Ritratto di Mingozzo, 1929, Olio su tela , 27×34 cm, collezione privata
Maceo Angeli, All’osteria, 1929, Olio su tela , 57×70 cm, collezione privata
Francesco Lampone

Lavora come responsabile dell’Area Legale e Relazioni Internazionali dell’Università per Stranieri di Perugia. Si occupa occasionalmente, per passione, della storia di Assisi. Ha pubblicato per le edizioni Assisi Mia, in collaborazione con Maria Luisa Pacelli, il volume: Assisi: un viaggio letterario, dove si esplora l’identità cittadina attraverso lo sguardo di cento visitatori illustri.

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